I vestiti che non metti più è la raccolta di racconti di Luca Murano, edita da edizioni Dialoghi, per la collana Intrecci.
Lo scrittore lodigiano propone, in una agevole lettura molto scorrevole, un’ambientazione quotidiana con personaggi comuni in cui è semplice riconoscersi; da studenti squattrinati a mariti che odiano “scherzetto o dolcetto” e viaggiatori che cercano ristoro. Mi incuriosisce chi si cela dietro questi abiti dismessi e che si è presentato in maniera molto scherzosa alla nostra redazione di Bookrider.
Vedremo se anche questa volta riuscirò a mettere in difficoltà – in maniera scherzosa, ovviamente – il caro Luca Murano.
Dalla tua biografia ho avuto modo di leggere che I vestiti che non metti più non è la tua prima prova da novelliere (raccontista non mi suona molto bene e pare sia anche la forma corretta. L’ha usata persino Pigi Battista, quindi è sicuramente una forma giusta), ma pensi di dedicarti prima o poi alla stesura di un romanzo?
In effetti il tentativo è in corso: negli ultimi mesi, infatti, sto provando a dar vita ad una storia di più ampio respiro. C’è ancora molto lavoro davanti, ma le vibrazioni sono buone. Per anni, la dimensione del racconto, è stata la mia comfort zone. L’idea di centrare l’impresa romanzo mi solletica parecchio proprio perché mi mette alla prova in situazioni che non conosco alla perfezione e che rappresentano una gran bella sfida. Che poi è anche così che si impara e si migliora; accettando l’insicurezza per testare i propri limiti e, si spera, superarli.
I racconti sono come piccoli attimi di vita irripetibili e che sono memorabili proprio perché effimeri; come mai hai deciso di narrare la sfera quotidiana delle persone?
La cronaca del quotidiano permette una più immediata immedesimazione coi personaggi da parte del lettore. Ed è uno degli obiettivi che mi ero prefissato mettendo insieme le storie della silloge. I racconti suonano volutamente familiari, come se quelle vicende ci riguardassero da vicino: scrittore, lettori e tutte le persone che ci girano attorno.
Mentre leggevo il racconto Maelström pie hai immediatamente attirato la mi attenzione dall’incipit “Chiamatemi Ismaele”. Devi sapere che noi Bookrider (sì, noi siamo uno e trino, e la S è muta come per (D)jango) abbiamo una grandissima passione per Melville, e lo temiamo allo stesso tempo… e tu che rapporto hai con Moby Dick? Preferisci la prima traduzione curata dal buon Cesare Pavese o quelle più moderne?
Io in casa possiedo quella tradotta da Alessandro Ceni per Feltrinelli, libro che, tra l’altro, ho riletto proprio pochi anni fa. L’ho trovata assai gradevole, non troppo moderna ma nemmeno appesantita da un linguaggio troppo arcaico. Da ragazzo, invece, in casa dei miei genitori ne girava una copia tradotta da Pavese, ma non era la prima versione bensì una seconda stesura. Per quello che ricordo, il mio approccio al romanzo fu davvero felice. Molto di quel libro mi si è stampato nella testa a partire da quell’edizione. Se dovessi scegliere, quindi, per un discorso puramente romantico, opterei per la traduzione di Pavese (anche se mi piacerebbe a questo punto riuscire a recuperare proprio la ‘primissima’).
Più che una domanda, è quasi una affermazione, ma i titoli dei tuoi racconti sono bellissimi. Dove trovi l’ispirazione?
I giochi di parole m’intrigano, così come l’idea di lasciare subito un segno tangibile nella mente di chi legge. La gestazione dei titoli, comunque, è del tutto casuale. L’unico cosa che li accomuna è il momento in cui nascono. Mai all’inizio o a metà della stesura: sempre e solo alla fine. Piccolo aneddoto: tutte le riviste letterarie che, nel tempo, hanno ospitato questi racconti non hanno mai sollevato obiezioni sui titoli. Tutte tranne una. Il racconto, “L’amore al tempo del cioccolato”, infatti, è uscito su rivista con un altro titolo e cioè “Mittente: anonimo Destinatario: sconosciuto”. Ma nella silloge, poi, ho preferito ritornare a quello originale.
Quando ti trovi in fase di stesura ti isoli dalla letteratura o riesci a leggere altri autori scindendo le due dimensioni? È una domanda che mi pongo da diverso tempo, non penso sia molto semplice per voi scrittori.
Io leggo tutti i giorni, pure due o tre libri contemporaneamente. E anche quando scrivo, questo trend non cambia mai. Se devo essere sincero non è una cosa che disturba la mia scrittura, anzi, penso aiuti a migliorarla. Leggere, infatti, può svelare punti di vista sempre diversi o semplicemente arricchirti ampliando tematiche che padroneggiamo poco. Nessuna interferenza quindi, semmai combustibile per il processo creativo.
Iniziano le domande di rito: consigliami un romanzo, una raccolta di racconti e un saggio.
Né di Eva né di Adamo di Amélie Nothomb. È la storia di un amore bizzarro ma non privo di poesia, raccontato con il solito umorismo e l’inconfondibile profondità di sguardo della scrittrice belga.
Trilogia di New York di Paul Auster. Tre racconti lunghi, scritti magistralmente, ambientati nella fascinosa Grande Mela. In una di queste storie il protagonista entra in contatto con un certo… Paul Auster!
Consigli a un giovane ribelle di Christopher Hitchens. Questo saggio approfondisce l’idea stessa di ‘opinioni contrarie’ e l’aspetto umano dell’opposizione.
Noi Bookrider stiamo sperimentando una chiusa simpatica per concludere la nostra chiacchierata, in modo da conoscerci meglio. Prova a rispendere di getto e dimmi quale preferisci:
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