Si canta per cantare
Si canta per sognare
E si canta per amore
In realtà il brano originale di Nino Manfredi intonava un “Tanto pe’ canta’” ma l’assonanza dovuta alla mia scarsa memoria non stona. Andrea Cappellano nel suo De amore (1185) diceva che questo sentimento non era una novità e che se ne parlava già da duecento anni. Vengono a rompersi certi vincoli religiosi e si tende all’Umanesimo. In Francia la letteratura carolingia del XII secolo si alimentava di ideali cavallereschi: la donna è un essere sublime e superiore che piega l’animo maschile, il quale si pone come suo schiavo. È un amore inappagato, ma Andrea Cappellano dice che l’amore è fonte di bene. Sposarsi per amore è una invenzione romantica.
Durante Alighieri, detto semplicemente Dante, tra il 1291 e il 1293 (su questa datazione si discute molto) compone un piccolo “libello” che riprende materiale dal “libro della memoria” – anche se questa immagine non l’ha inventata certamente lui – e che riporta come titolo Vita nova dove trascriverà, almeno in parte, frammenti della sua vita di cui ci dirà il significato.
L’opera è un prosimetro, e adesso state attenti perché questa è una domanda per prendere 10 all’interrogazione. È un tipo di componimento misto di prosa e versi. Volete altri esempi? La commedia delle ninfe fiorentine di Boccaccio, L’Arcadia di Sannazaro. La bella figura con la prof è assicurata! Ci sarebbero anche i Canti Orfici di Dino Campana, ma non si studia al liceo quindi lasciate stare e non andate ad impelagarvi in una selva oscura.
La Vita Nova di Dante Alighieri, o Nuova se consideriamo il dittongamento, è la prima opera composta dal poeta fiorentino. Solitamente se ne studia giusto qualche passo o solo l’unico sonetto che è ben noto a tutti: Tanto Gentile Tanto onesta (ap)pare.
Nel componimento non viene elogiata la fisicità di Beatrice, che sicuramente brutta non era, ma viene descritta la sua luce angelica quasi cristologica. Lei è cosi tanto gentile che nessuno ha il coraggio di parlarle: ora voi potreste dire “che sommo poeta, che descrive così bene la sua bellezza”. Probabilmente era così bella da mettere anche ansia da prestazione. Certamente uno dei componimenti più belli della letteratura italiana o forse il più bello. Probabile, perché Donna me prega di Cavalcanti è bellissima ma la parafrasi all’impronta è spinosa persino per un professore di lettere: parola del prof. Mario Cimini, professore di critica letteraria ed esperto dantista. Ma potrebbe averlo detto solo per non farci sentire stupidi.
Dante ha contribuito in parte all’edificazione del canone secondo cui sia cool la letteratura consumata dall’amore spezzato e che la gioia o la felicità non rendano altrettanto bello il lieto poetare.
La Vita Nova di Dante è composta al suo interno da un mare di componimenti bellissimi e degni di essere letti. Vi fornisco un piccolo esempio.
A ciascun’alma presa e gentil core
nel cui cospetto ven lo dir presente,
in ciò che mi rescrivan suo parvente,
salute in lor segnor, cioè Amore.Già eran quasi che atterzate l’ore
del tempo che onne stella n’è lucente,
quando m’apparve Amor subitamente,
cui essenza membrar mi dà orrore.Allegro mi sembrava Amor tenendo
meo core in mano, e ne le braccia avea
madonna involta in un drappo dormendo.Poi la svegliava, e d’esto core ardendo
lei paventosa umilmente pascea:
appresso gir lo ne vedea piangendo.
Un Amore visto come un dio che incute terrore e allo stesso tempo letizia, che mostra la salvezza come se fosse a portata di mano per Dante: la sua Beatrice. La donna non è vista come il demone del peccato che porta sulla cattiva strada – ciao ciao visione religiosa di Eva e la mela – ma è lo spirito guida che porterà ad un livello successivo, superiore. Nomen omen. L’immagine del cuore mangiato (Poi la svegliava, e d’esto core ardendo / lei paventosa umilmente pascea) è tipica nel Medioevo e il suo significato si riconduceva al fatto di acquisire, a seguito dell’atto, le qualità della persona.
Ma chi è che piange poi? È Amore. Sta già preannunciando la morte della donna che dà beatitudine. Dante ha detto sin dall’inizio che sta raccontando una storia già accaduta e bella che finita.
Questo componimento ha scatenato una tenzone a riguardo – un dissing d’epoca – , dove Dante chiede parere ai suoi amici sul significato della sua visione. Vi risparmio Cavalcanti e Cino da Pistoia e vi cito la risposta più bella che il poeta fiorentino ha ricevuto, quella che ha reso divertente lo studio di questa opera. Bisogna sempre trovare il lato spiritoso, a mio parere, e noi Bookrider abbiamo creato una rubrica seguendo questo principio.
Dante da Maiano decide di rispondergli perculandolo un pochino (“amico meo di poco conoscente”):
Al tuo mistier così son parlatore:
se san ti truovi e fermo de la mente,
che lavi la tua coglia largamente,
a ciò che stinga e passi lo vaporelo qual ti fa favoleggiar loquendo;
e se gravato sei d’infertà rea,
sol c’hai farneticato, sappie, intendo.
E Dante muto. Banalizzo: mio caro che al momento, probabilmente, stai un po’fuori fase, ti consiglio di calmare i tuoi bollenti spiriti mettendo in acqua i tuoi legumi (Coglia: https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/coglia/) perché stai parlando leggerissimamente a vanvera.
Le tenzoni tra poeti erano degli sfottò reciproci, ed erano all’ordine del giorno.
Probabilmente è a causa di queste alte temperature da seconda serata che Dante Alighieri ha deciso di inserire tutta questa numerologia nella Vita Nova, che è la base degli studi elaborata da Singleton (scherzo).
Vi faccio un esempio legato a questo componimento (tutti gli altri potete cercarli su Academia.edu aggratis).
Dante, dopo questo sogno, si sveglia e… che ore sono? Si sveglia alla quarta ora della notte, la prima delle restanti nove ore della notturne. Quindi: sono le tre, che è il numero perfetto.
Erano le nove del mattino quando avvenne il primo incontro tra Dante e Beatrice. E quanti anni avevano? “nove fiate (volte) già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna”. L’autore fiorentino, per far ridare i conti, fa calcoli di ogni tipo come le radici quadrate o più tre meno due. Deve sempre ridare tre o un suo multiplo. Singleton ha avuto davvero tanto materiale su cui scrivere.
Se l’articolo non ha invogliato ancora alla lettura completa dell’opera, vi lascio un ultimo aneddoto che potrebbe suscitare curiosità: Beatrice nel 1290 muore ma l’opera non è ancora conclusa. Passa del tempo, persino un anniversario (8 giugno 1291), e il poeta fiorentino nota una giovane donna e «li miei occhi si cominciarono a dilettare troppo di vederla»; riesce a risvegliare i suoi appetiti e dolci sospiri. E qui riprende anche i suoi consueti calcoli matematici, per non abbassare i toni.
Parliamoci chiaro: la numerologia serve a distogliere il chiodo-scaccia-chiodo dantesco. Vi anticipo che non servirà, perché poi Beatrice ritornerà al centro di tutta la produzione del fiorentino, come se non ve ne foste già accorti studiando la Divina Commedia.
Sic est.