V13 – Emmanuel Carrère : recensione

Perché? […] Il motivo fondamentale è che centinaia di esseri umani accomunati dal fatto di aver vissuto la notte del 13 novembre 2015, di esserle sopravvissuti o di essere sopravvissuti a quelli che amavano, si presenteranno davanti a noi e parleranno. Un giorno dopo l’altro, ascolteremo esperienze estreme di morte e di vita, e penso che fra il momento in cui entreremo in quell’aula di tribunale e quello in cui ne usciremo, qualcosa in noi tutti sarà cambiato

È per fame di storie, per scandagliare le anime di vittime e carnefici, per l’ossessione per le Vite che non sono la mia (forse il testo tra i suoi che mi ha fatta stare più male, edito in Italia da Einaudi) che Carrère si è autoinflitto nove mesi di udienze processuali. Ogni giorno si è seduto in un box di tamburato bianco, senza finestre, accompagnato da un numero sempre più esiguo di giornalisti. Ogni giorno ha preso appunti, su un taccuino sospeso tra le ginocchia, slogandosi il collo per vivisezionare uno sguardo, un gesto. Questo sforzo immane è confluito in una serie di articoli settimanali pubblicati per l’Obs. V13 li raccoglie, ampliandoli e aggiungendo qualche pezzo inedito. Un’impressionante operazione di cronaca giudiziaria sugli attentati che colpirono simultaneamente il Bataclan, lo Stade de France e i dehors dei locali dell’Est di Parigi, in cui la presenza dell’autore (forse proprio per la destinazione giornalistica dell’operazione) è meno pervasiva del solito.

Anche se mancano le digressioni di natura personale, l’aspirazione di Carrère è evidentemente sempre la stessa: spiegare, soprattutto a sé stesso, ciò che dell’umanità gli appare incomprensibile. Come può un uomo fingersi per diciassette anni un medico dell’OMS e poi, in procinto di essere scoperto, uccidere moglie, figli e genitori? Come si sopravvive alla morte di una figlioletta di quattro anni? Come si può essere stati un romanziere, un senzatetto, il leader di un partito nazista e comunista insieme, senza mai un rimpianto, senza un dubbio? Come si può causare, anche con una certa dose di divertimento, la morte di centotrenta persone, in nome di un Dio?

Se prima di imbarcarsi in quest’impresa Carrère sperava, e forse ci sperava, di cogliere qualcosa di autentico nella personalità di Salah Abdeslam (l’unico tra i membri del commando a non essersi fatto saltare per aria), la sua dev’essere stata una cocente delusione. Non dice se abbia scelto di sopravvivere o se la cintura esplosiva si sia inceppata (“ho rinunciato per umanità”). Si pone come una vittima degli eventi, deresponsabilizzandosi fino all’assurdo, descrivendosi come totalmente inconsapevole di aver partecipato ai preparativi per un attentato terroristico. Come del resto accadeva per Jean-Claude Romand ne L’Avversario, le ragioni del male restano opache, come la psiche di chi lo compie.

Di V13 Restano però le infinite storie dei sopravvissuti, tra chi non dorme più perché sa di aver calpestato e spintonato i corpi altrui per uscirne illeso e chi rivendica di esserne uscito più forte e integro. Resta il mosaico di personalità difficili da inquadrare, come quella di Flo, nel consiglio di amministrazione dell’associazione Life for Paris, uno dei volti più riconoscibili tra quelli dei superstiti del Bataclan, della quale solo quattro anni dopo si è scoperto che aveva inventato tutto, per solitudine, per mitomania o chissà cos’altro.

Ma forse ancor più strazianti, restano le storie dei familiari, non solo delle vittime, ma anche degli assassini.

Che cosa è peggio? Avere un figlio assassino o una figlia assassinata?

Dall’incontro di Azdyne Amimour, padre di Samy, uno degli attentatori del Bataclan e George Salinas, padre di Lola, una delle vittime, nasce un libro a due voci e un atroce quesito, uno di quelli a cui Carrère non sa dare risposta: come si impedisce a un figlio di radicalizzarsi? Si può davvero fare qualcosa? In che misure le colpe appartengono ai padri?

E poi: si può fare pace con Allah, dopo che tua figlia è stata uccisa da chi aveva in bocca il suo nome? Si può perdonare? Nadia, la cui figlia è stata colpita alla schiena e uccisa davanti a un bistrot, durante un appuntamento romantico con un nuovo amore allo stato aurorale, morto anche lui, è diventata la migliore amica di Carrère durante il processo. Più di tutta l’umanità che vediamo passarci davanti, Nadia è chiamata a porsi questa domanda. La risposta è alla fine di V13.

Fiorenza Fortini

Fiorenza Fortini nasce e attecchisce tra le colline abruzzesi. Nella vita è un’insegnante di italiano e storia (o latino e greco, dipende dagli anni). Scrive racconti sulla pagina Instagram @ritrattiscartati e sogna di pubblicare il grande romanzo generazionale italiano. Ama la fantascienza, lo smalto semipermanente, i podcast e le storie in cui alla fine il protagonista muore.

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