John McDillan e la sua Trilogia del Bizzarrismo o Trilogia del +1 mi hanno incuriosito dal primo messaggio che ci è arrivato sui social. Amo il grottesco, le provocazioni e le cose strane (ma non fini a sé stesse). Queste sono scritture, al contrario di ciò che pensano in molti, assai delicate: ovunque si annida il rischio di eccedere o di abbassare troppo i toni rientrando in schemi ormai vetusti.
Il problema principale di queste operazioni, quindi, è nella connessione tra autore e lettore. Per quanto io sia un cultore di Sanguineti e Marziano, non è stato facile fronteggiare McDillan e il suo bizzarrismo. E pensare che è lui stesso ad avvertire i lettori all’inizio di 17 novelle bizzarre+1:
“Non è mai facile parlare di qualcosa di nuovo. Le novità sono imprevedibili, talvolta strambe e pazzesche. […] Il Bizzarrismo è la novità di questo decennio: è un agglomerato di stranezze che impattano sui tuoi occhi alla stregua di un palazzo fucsia in mezzo alla campagna. È fantasioso: non infantile, bensì comico, irruento, inopportuno e sgangherato.”
La raccolta di racconti offre una vasta gamma di personaggi interessanti, e tutti collegati dalla cornice di una fiera dove ognuno mette in mostra le proprie particolarità, cercando di inglobare il lettore in un metatesto assurdo e ricco di riferimenti. John McDillan inserisce anche canzoni da ascoltare durante la lettura, un po’come nella pluripremiata serie a fumetti Occhio di falco di Matt Fraction e David Aja.
Il parco di attori del volume è unanime nel rifuggire i “normaloidi”, quelli che non riuscirebbero a comprendere il tessuto bizzarro in cui si muovono le storie. Eppure “nessuno nasce bizzarro”, come si dice più avanti nel libro.
Uno dei personaggi ha scritto The Jester’s Rhymes, il secondo volume della trilogia. Da qui io divento il problema. Nel libro precedente ho sviluppato un’intolleranza profonda verso il Giullare, proprio l’autore del prosimetro in oggetto. Già, perché si alternano prose molto interessanti a poesie di più fatture. John McDillan ha uno spiccato gusto per i giochi di parole, presenti in tutta la Trilogia del Bizzarrismo; il Giullare ne fa un uso smodato, sembra un eccesso dell’autore.
A chiudere il tutto c’è The XVIII, così bizzarro che è un libro ma potrebbero esserne anche tre o quattro. È proprio da questo testo che nasce l’idea di questo progetto e, capitolo dopo capitolo, si entra nuovamente nello stesso universo da una prospettiva più ampia. Le altre due pubblicazioni sono quasi dei focus, una preparazione al lettore, lenti assaggi di una macchina metafisica complessa. Il simbolismo e l’iconografia sono concetti importanti e sempre presenti, anche se questo è un linguaggio più consono a un normaloide che a un bizzarro. È la cosa più difficile da spiegare, The XVIII, al punto che devo usare il termine “cosa” non per spregio, ma perché “libro” sarebbe riduttivo.
La Trilogia del Bizzarrismo di McDillan è un percorso con andamento mandalico, al punto che lo stesso autore invita più volte a rileggere, a tornare indietro negli altri volumi. Eppure non è un’operazione chiusa; è una trilogia dove è possibile andare avanti, fino al quarto volume.
Clocks è un pamphlet narrativo, un racconto-dichiarazione d’intenti, una poetica in forma di romanzo breve. È tutto questo ma anche il contrario. Il quarto capitolo, sull’uso della lingua e delle parole, mi ha spinto a tornare indietro (ho dato ascolto poche volte all’autore) e rileggere intere sezioni.
Affrontare McDillan è una sfida al labirinto, dove è chiaramente possibile perdersi. Chi riesce a uscire dal dedalo vuole tuffarsi di nuovo per trovare gli altri mille fili di Arianna possibili.
In conclusione, io lo consiglio ma con qualche remora: vi piace l’assurdo? Sareste capaci di oltrepassare altri limiti? Fin dove riuscite a spingervi con la letteratura?
Grazie millediciassette volte +1!
Grazie a te <3