Leggendo Tasmania di Paolo Giordano mi sono chiesta dove fosse finito il ragazzo che scriveva la Solitudine dei numeri primi; è cresciuto, mi sono detta, e io probabilmente no.
Ad un certo punto delle nostre vite dobbiamo esserci allontanati, io sono rimasta ferma nel 2008, mentre Paolo Giordano ha quasi raggiunto i quarant’anni.
Forse è per questo che ci siamo persi, in questa scrittura più matura, sempre triste, ma in un modo diverso.
Perché Tasmania è un libro triste, tristissimo, ma non di una tristezza interiore, di una sfiducia generale nei confronti dell’umanità. Ad un certo punto mi sono chiesta perché, se già non ero in gran forma, perché mi stessi facendo questo. Stavo anche svolgendo un lavoro a contatto con il pubblico, il che già porta normalmente ad avere cali di fiducia nelle persone. E Tasmania non aiuta.
È un libro che ti porta a focalizzare l’attenzione su quanta cattiveria sia in grado di generare l’uomo. Quanta indifferenza verso il prossimo, verso il pianeta, verso chiunque ci distragga per un singolo momento dal nostro egoismo.
La narrazione è tutta improntata ad una vena di tristezza, che parte dalla vita privata del protagonista per irradiarsi tutta intorno alle persone che gli sono vicine, agli eventi del mondo che lo circonda, alle cose che scrive.
Il Paolo di Tasmania è un uomo sfiduciato. Rivolto all’interno di sé stesso, che si trova a vivere in un mondo piegato dallo spettro del terrorismo. Un mondo il cui tempo sta per terminare. Ma chi si preoccupa di tutte queste cose? Mentre Paolo è distratto, dai problemi personali, da una vita alla quale voler chiedere di più, da un rapporto di coppia che sembra stia per finire, dall’attesa di un figlio che non arriva. E come lui, anche le vite di chi lo circonda sembrano essere piene di lati oscuri, i momenti di tristezza, adombrano tutto, anche i ricordi più belli.
Eppure il nostro protagonista è assente, non è al momento raggiungile. Probabilmente non è vero che nessuno si salva da solo, perché altrimenti il numero dei morti sarebbe tragicamente più alto. Mentre Paolo non c’è, non c’è per aiutare i suoi amici, sé stesso e la sua relazione, attratto dalle luci patinate di vite che sembrano perfette, ricche di successi, obiettivi, prestigio, figli, e anche un po’ di supponenza. Ma più in alto ti poni su un piedistallo, più dura sarà la caduta.
È il caso del professor Novelli, da cui Paolo è attratto come una lucciola, lui che mostra questa sua perfetta vita patinata, con grandi successi, una famiglia felice, amici con cui passare meravigliose vacanze. Eppure, è solo un filtro ben applicato. A quanto pare alcuni sono più bravi di altri a farci credere cose che non ci sono, un po’ come su Instagram. E Novelli è bravissimo, il numero uno degli influencer, e su Paolo funziona, per un po’. Almeno fino a quando la realtà non si mostra per quello che è, anche la vita di Jacopo Novelli non è così perfettamente patinata così come gli piace far credere, e che ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.
Spesso la ricerca di una felicità più grande non ci permette di vedere le cose come stanno, forse in alcuni punti Tasmania si concentra su tutto il negativo che si può cogliere in una relazione o in rapporto d’amicizia. E Paolo, chiuso nel suo personalissimo ed egoistico dolore, troppo impegnato a piangersi addosso, si preclude le relazioni con gli altri, non vede e non vuole vedere il loro dolore, ma restare concentrato sul suo. L’idea poi di scrivere un libro sulle bombe di Hiroshima e Nagasaki di sicuro non lo pone dell’ottica più ottimistica possibile.
E di conseguenza non ci mette noi lettori. All’interno del libro, se ci soffermiamo sui rapporti umani, ne esce un quadro di disarmante solitudine.
In anni e secoli e millenni di evoluzione abbiamo forse perso la capacità di legarci agli altri? Di essere sensibili all’altro?
Di sicuro i capitoli nei quali viene descritto lo scoppio delle bombe mi fanno pensare di sì. Qual è il limite al quale poniamo la cattiveria?
L’evoluzione ci ha insegnato soltanto che il più forte sopravvive? E sotto quale tappeto nascondiamo poi la polvere che ha causato il danno?
Dal micro al macro delle nostre relazioni, azioni e conseguenze, nessuno è disposto a prendersi la colpa.
Tra tutti i personaggi presenti nel libro, il peggiore sembra essere proprio Paolo, perché non si dà la possibilità di vedere, di vedere oltre le ombre della sua vita. Si priva della possibilità dell’inaspettato. Forse un grande insegnamento di rinascita gli viene proprio dal suo amico Giulio. Capace di ritrovare sé stesso, il rapporto con suo figlio, proprio dove tutto era nato, in un viaggio, nella sua vera natura di viaggiatore per tenere tutto in equilibrio. Perché le cose si aggiustano, ci vuole del tempo che non pensiamo di avere o che non siamo disposti ad aspettare.
E vale anche per i danni fatti dalle bombe. La scena più bella, più umana di tutta la narrazione, si racchiude nel viaggio di Paolo e Giulio alle commemorazioni in Giappone per l’anniversario della caduta delle bombe. Quella commemorazione unisce, ed addolora, eppure, per una volta è un dolore, catartico, liberatorio, costruttivo. Un dolore che ci diamo il diritto di provare e di mostrare senza vergognarcene. Un dolore dal quale si può ricominciare, una cicatrice, che ci ricorda il male ma che ci ricorda che siamo vivi, siamo guariti, dovremmo ricominciare e farlo meglio.
Nel finale di Tasmania poi, scopriamo Lorenza, la compagna di Paolo. Quando lui decide, finalmente, di ascoltarla, di smettere di descriverla solo per come lui la vede in questo triste momento nella sua testa; Lorenza diventa la vera figura salvifica di questo romanzo.
È una mano tesa che riporta a terra il palloncino Paolo, perso nell’etere di sé stesso, gli dà nuovi contatti.
Lorenza non ha paura dei cambiamenti, di invecchiare, di cambiare amici, abitudini, li affronta, si adatta, sopravvive, si evolve.
E non è proprio in questo, nella capacità di adattamento, che risiede il segreto dell’evoluzione?
Non sopravvive il più forte, sopravvive chi si sa adattare. Decidendo di non lasciare indietro l’altro, Lorenza salva la relazione. Salva suo marito e chiude il romanzo con una connotazione positiva sulla possibilità di superare i momenti negativi della vita.
Bello, ma non so se stavolta mi basta. Non riesco ancora a digerire bene tutta la sfiducia accumulata…
Bella la tua recensione, mi ha restituito un significato oltre la tristezza