Sanguina ancora – Paolo Nori : recensione

Sanguina ancora di Paolo Nori parla del più noto scrittore russo, L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij, come dice il sottotitolo. Una biografia, quindi, ma è anche un’autobiografia dell’autore, che intreccia la sua vita con quella dello scrittore dell’Ottocento. La sua grandezza porta spesso a citare tanta storia della letteratura russa, perché Dostoevskij ne è una summa. La letteratura russa è però così immensa da essere espressione del mondo; e quale autore ha raccontato meglio l’alto e il basso della coscienza umana? Questa biografia è una storia dell’uomo raccontata con voce parmense. Questo, in sintesi, il contenuto del libro.

Nonostante questo paragrafo, Mondadori non mi ha ancora chiamato a scrivere quarte di copertina.

Il mistero del titolo si risolve nelle prime pagine: il quindicenne Paolo Nori legge Delitto e castigo, il suo primo libro russo, e quella lettura provoca una ferita che non può rimarginarsi. In pratica, sanguina ancora. È una caratteristica di molte pagine russe, ma il buon Fëdor è il miglior arciere della regione; quando colpisce lo fa bene, e i suoi lettori potrebbero diventare ottimi cosplayers di san Sebastiano.

Nori è un vero esperto, basti leggere La grande Russia portatile o I Russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991. Traduce Charms, Gogol’, Tolstoj e tanti altri, tra cui il Nostro. Tiene corsi di traduzione, dove Dostoevskij è ovviamente prediletto. Tutte le sue attività confluiscono in ciò che scrive, come accade ad esempio nella sua biografia che troviamo su IlLibraio:

“Paolo Nori, nato a Parma nel 1963, abita a Casalecchio di Reno e, come ha già detto anche un’altra volta, non sa mai cosa scrivere in queste note biografiche dove dovrebbe far finta di non essere lui, e far capire che è bravo, e intelligente, e modesto, e magro, perfino.”

Potrebbe essere uno scritto di Charms, se solo avesse conosciuto Casalecchio di Reno.

Dicevamo che Nori padroneggia di certo l’argomento, e si vede dai toni di Sanguina ancora. È colloquiale, ne parla come fosse una storia popolare di cui però segna bene le date e cita lettere e documenti reali e verificabili (nei limiti, come leggiamo nelle note). Quando scrive di Turgenev e dei soldi che Dostoevskij gli deve, immaginiamo la vicenda come se fosse un romanzo con personaggi inventati. Sono così vivi da non sembrare reali, ed è una di quelle cose che mi capita ogni volta che leggo Nori. Qui supera anche il concetto di saggio romanzato, dovrebbe essere un romanzo saggiato, ma non è così perché suona cacofonico – e la cacofonia vola all’opposto della sua scrittura.

L’onestà è una delle caratteristiche portanti del testo. L’autore porta la sua visione in ogni paragrafo, espone le sue teorie, esalta certi romanzi e può permettersi anche di parlare meno bene di altri, perché va bene l’amore per Dostoevskij, ma nessuno è perfetto.

Nel 1874 ai Dostoevskij nasce l’ultimo figlio, Aleksej. Sempre nel ’74 Fëdor Michajlovič firma il contratto per L’adolescente, che esce l’anno dopo. I biografi sono concordi nel ritenere questo periodo uno dei più sereni, nella vita di Dostoevskij. Forse è anche per quello che io, L’adolescente, sarò io, eh?, ma io non ci ho mai trovato un verso. […] non va bene, scrivere, se sei sereno. Sei sereno? Vai a fare un giro. A fare una passeggiata. Vai al mercato, dai tuoi bottegai, ma scrivere, devi star male, per scrivere, se stai bene ti vengon fuori delle cose che, oh, sarò io, eh?, ma io non ci capisco niente, nell’Adolescente.

Inutile dire che Delitto e castigo e I fratelli Karamazov avranno tutt’altro commento.

La citazione un po’più lunga del solito permette di parlare dello stile. Le recensioni dei siti di vendita sono chiare: danno fastidio le tante virgole che spezzano il discorso in modo inusuale, così come il linguaggio, giudicato moderno (usato come aggettivo negativo). Questi elementi mi hanno conquistato, non sono l’unico motivo per cui tiferò al Campiello per il libro in questione ma giocano tanto nella scelta. Leggiamo il romanzo con il modo in cui le frasi sono scandite da Paolo Nori dal vivo. Sembra di averlo al fianco, un lungo monologo che avrei letto per almeno altre cento pagine. In compenso uscirà l’audiolibro, così potrò sentire la voce che mi risuonava comunque nel cervello.

Un’ultima nota, che scrivo in coda perché un po’me ne vergogno per la stranezza.

Era sera. Due amici, limoncello fatto in casa. Ho il kindle a portata di mano. Scorriamo le novità e troviamo Sanguina ancora. Iniziamo a leggerlo! Dopo poche pagine Nori scrive di Dostoevskij che propone una sera di leggere le Anime morte di Gogol’, e trova strana questa situazione, come se tra ragazzi potesse succedere di proporre agli amici: «E se leggessimo Foscolo, ragazzi?» Con risposte ricche di entusiasmo. Ecco, a noi è successo con lui.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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