Io sono cresciuta a stacchetti della Carrà e polizieschi, una passione l’ho persa e l’altra è rimasta.
Ma non sono qui per parlarvi della mia infanzia, delle sere accoccolata sul fianco di mia madre a guardare Il commissario Montalbano, che come pochi altri investigatori ha saputo scavarsi un posto tutto suo nel legame tra me e mia madre. A tutt’oggi, quando non passiamo la notte nella stessa casa ci telefoniamo per ricordarci di vedere la puntata.
Perché questo preambolo? Perché la notizia che il 17 luglio 2020 sarebbe stato L’ANNIVERSARIO della morte di Andrea Camilleri mi colpì nella tranquillità di un gruppo WhatsApp con la violenza di un calcio di pistola alla testa (per restare in tema poliziesco).
È già passato un anno, e mentre riflettevo un po’ intontita sullo scorrere inesorabile del tempo ecco che ZAC!
Un altro pensiero: l’uscita in libreria dell’ultima avventura di Montalbano, Riccardino, l’ultimo Andrea Camilleri.
Intendiamoci, io tra il 2019 e il 2020 ho metaforicamente sepolto ben DUE commissari e anche Schiavone ultimamente non se l’è vista proprio bene. Ditemi la verità, sono io?
Leggere Riccardino dà emozioni contrastanti, da un lato l’euforia del ritorno, dall’altro la tristezza della fine.
La particolarità all’interno del romanzo è che si vengono a creare più piani del reale: uno è quello dell’Autore, un altro è quello di Montalbano personaggio del libro, che rifiuta inizialmente l’idea di essere solo opera di fantasia ed infine il Montalbano televisivo, l’attore che lo interpreta.
Tutti questi piani ci appaiono, così ad elencarli, ben distinti, ma all’interno di Riccardino convergono; chiave di volta per questa possibile convergenza è proprio la stanchezza, sia quella reale dell’Autore, che quella millantata da Montalbano. Grazie a questo espediente Camilleri può entrare direttamente nel romanzo, dialogare con Montalbano proporgli delle idee, degli sviluppi, ma anche semplicemente parlargli.
L’Autore, lo si evince anche del testo, è stanco della sua creatura; è talmente stanco che a finali complicati preferirebbe soluzioni di comodo, anche se si discostano dal suo solito scrivere.
Montalbano invece no, o meglio, a parole sì, ma in verità no, lui non si accontenta, fiuta, sente sempre altro nell’aria, è un cane da caccia a cui il padrone non vuole stare più dietro. E infatti, oltre ai soliti muri che si ritroverà davanti, come la corruzione e lo spettro della mafia, gli sarà negato anche l’aiuto dell’Autore che non creerà per lui la giusta scappatoia ma lo spingerà verso il finale su cui tutti concordano.
Ma Salvo non ci dà vita facile, non si può imporre nulla a Montalbano. Anche questa volta riuscirà a fare di testa sua, a decidere per tutti. Lui la fine l’aveva sentita arrivare, anche se difendeva la sua esistenza come reale, slegata dalle pagine di un libro; lo sapeva che sarebbe stata l’ultima indagine, ma forse non voleva crederci. Così, nel finale, presa coscienza delle possibilità offerte dal mondo di fantasia in cui vive, semplicemente se ne va, obbedendo come sempre solo alla sua volontà.
Andrea Camilleri con Riccardino ci lascia così, senza un vero addio, senza un vero commiato; molti personaggi, non avendo avuto sentore della fine, non hanno potuto salutarci. Ma forse è cosi, Livia, Gallo, Galluzzo, Fazio, Mimì e Catarella sono ancora a Vigàta, a chiedersi che fine abbia fatto Salvo, che fine abbia fatto l’Autore.
Camilleri per noi è la ragion d’essere del libro, così come per Vigàta lo è Salvo, alla scomparsa di uno lo segue anche l’altro. I piani delle realtà convergono un’ultima volta.
E allora buon viaggio Salvo, ancora buon viaggio Andrea, ovunque stiate andando, insieme.