Chiunque stia per compiere trent’anni dovrebbe leggere Revolutionary Road di Richard Yates (1961. Edizione italiana Minimum Fax, 2017). Non solo perché è una pietra miliare della letteratura americana, né perché ci hanno girato un bellissimo film con i premi Oscar Leonardo Di Caprio e Kate Winslet, ma soprattutto per il suo potere illuminante.
Revolutionary Road non è solo il racconto di un’estate qualunque della famiglia Wheeler, passata in un qualunque centro suburbano d’America. È – o dovrebbe essere – il santo Graal di tutta la generazione Y.
Ad una lettura più profonda si nota infatti che, fin proprio dall’inizio, il leitmotiv del testo è uno e uno soltanto: la ricerca della realizzazione.
Chi non si è mai sentito schiacciato dal peso delle aspettative sociali? O non si è mai chiesto chi fosse davvero? Che cosa volesse essere davvero? Chi non ha mai sentito di dover essere qualcosa? È questo che agita le notti di Alice e Frank Wheeler; e probabilmente Yates non sapeva, mentre scriveva la sua critica alla vita nelle periferie urbane dell’America degli anni sessanta che in realtà stava dando forma alle paure e alle speranze anche delle successive generazioni.
Chiunque stia per compiere trent’anni dovrebbe leggere Revolutionary Road. E dovrebbe farlo anche chiunque non sappia chi vuole diventare da grande e chiunque pensi che serva viaggiare per scoprirlo. Tutti coloro che non hanno il coraggio di fare il primo passo, di attuare quel cambiamento che invidiano sulle pagine dei social. E dovrebbero farlo perché è questo che i coniugi Wheeler ci vogliono insegnare.
Frank e Alice sono due ragazzi di ventinove anni con un passato turbolento, una casa nella periferia di New York e due figli. All’apparenza normali, sentono invece di essere destinati a cose straordinarie, fuori dall’ostentato ordine che cela l’apatia dei loro vicini di casa, dei coetanei e amici. Frank e April hanno fatto le cose come andavano fatte: si erano sposati, lui aveva trovato un buon lavoro (anche se era il lavoro più scemo che uno possa fare), si erano trasferiti lontano dalla città perché così era meglio, e avevano messo al mondo due bambini.
Ma non è un caso se la via dove si erano trovati ad abitare portava il nome di Revolutionary Road, Frank e Alice erano due rivoluzionari. Sotto le loro vite straordinariamente ordinarie si nascondeva il seme della rivoluzione. Celata dalla monotonia del lavoro, della quotidianità piatta e grigia, in loro germogliava la voglia di evadere, di fare quel passo che molti ammirano da lontano, vivendo una vita al condizionale, ma pochi hanno l’effettivo coraggio di concretizzare.
Spinti dagli stessi impulsi che agitano le esistenze dei Millennials, Alice e Frank decidono di partire per l’Europa, mollare tutto e trovare la strada per la realizzazione personale, per la felicità. È un sogno americano al contrario.
Fra i loro vicini e amici, cerchia ristretta di pensionati prima dell’età pensionabile, nessuno li capisce, pensano che siano pazzi. Ed è qui che la loro solitudine intellettuale, già preponderante, arriva al culmine; ed è qui che entra in gioco l’unico personaggio che può davvero comprenderli. Solo un altro outsider può percepire i tumulti interiori dei Wheeler, solo un vero pazzo può chiamarli “rivoluzionari”. John Givings (sul cui cognome e relativa simbologia si potrebbe scrivere un trattato), figlio psicotico di Helen Givings, vicina di casa di Alice e Frank, è l’unico che capisce le motivazioni che li hanno spinti a prendere quella decisione.
La figura del malato mentale è inserita magistralmente dalla penna di Yates. Ci mostra come solo una persona spinta ai limiti della società possa arrivare a comprendere perché qualcuno dovrebbe decidere di uscire dalla norma; e può farlo solo perché – o meglio, proprio perché – è lui stesso ad essere fuori dalla norma. La figura del folle, spesso accomunata a quella dello straniero, del diverso, è l’altro: lo specchio in cui guardare per trovare sé stessi. Platone diceva che, se con la parte migliore dei propri occhi (la pupilla) si guarda la parte migliore dell’altro, si rivede sé stessi. Quello che sei te lo dicono gli altri.
Oltre la follia, Revolutionary Road tocca temi altissimi e problematici, come l’aborto e il ruolo della donna nel decidere del proprio corpo.
Potrei scrivere ancora pagine e pagine, raccontando della narrazione frammentata, padroneggiata sapientemente da Richard Yates, dei dialoghi spezzati da frasi di vita quotidiana, tecnica encomiabile, del tema del tempo, concretizzazione rassicurante dell’infinito ordine del caos. Ma penso che il compito di chi scrive recensioni, il mio compito (di cui ho fatto la mia missione) sia aiutare il lettore a percepire tanti diversi punti di vista, a vedere quei dettagli che magari sono sfuggiti. Questi sono quelli su cui ho scelto di soffermarmi in questa piccola analisi del capolavoro che è Revolutionary Road. E poi ho finito lo spazio.