Requiem – Antonio Tabucchi : recensione

Antonio Tabucchi scrive Requiem in portoghese perché è una lingua di affetto e riflessione. Lo definisce un sogno dove poter incontrare personaggi che avevano bisogno di una orazione.

In Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori spiega più diffusamente. Una notte sogna suo padre, morto nel 1984 per un cancro alla laringe. Questo l’aveva turbato, perché risentire il suono della sua voce gli risvegliò un senso di nostalgia e malessere. A causa di un errore chirurgico, il padre perse l’uso delle corde vocali. La comunicazione tra loro avveniva solo sul piano della scrittura. La lingua lusitana diventa il mezzo per esprimere i ricordi più intimi che risulterebbero inesprimibili in italiano. “Evocare” significa “richiamare alla memoria”, e al centro della sua ricerca c’è l’esplorazione dell’io come altro da sé che lo porta a scendere, come per Orfeo, nei suoi inferi onirici più profondi.

La questione in sospeso con suo padre, il motore di tutto il suo senso di colpa, lo porta a voler fare luce su frammenti enigmatici, dolori del suo passato, mentre si reca ad un appuntamento.

Il requiem è un sogno dove poter incontrare personaggi che avevano bisogno di una orazione, come ad esempio racconta nella postfazione per Sostiene Pereira.

Il romanzo si apre con il protagonista sul molo di Alcȃntara che aspetta il suo appuntamento. È presente un sovrapporsi di tempo presente e passato, oltrepassando la soglia quando i fantasmi tornano dal loro passato manifestandosi sul presente dell’attore principale.

Le persone a cui chiede indicazioni sono come presenze che si trovano al confine tra il reale e l’impossibile. Il percorso prende le mosse dal suo inconscio, il che lo porta a raffigurare interlocutori che sente più appartenenti al suo universo: personaggi di Pessoa, come lo zoppo che fa il disturbatore ne  Il libro dell’inquietudine, un taxista che lavora a Lisbona ma che non conosce le strade, la zingara (fuori al cimitero) che si pone come guida nell’indicare la strada per proseguire il cammino onirico nei suoi ricordi.

lo vuoi conoscere il tuo destino? La Vecchia Zingara si appropriò della mia mano sinistra e guardò con molta attenzione il palmo aperto. […] Figlio, disse la vecchia, ascolta, così non può andare, non puoi vivere da due parti, dalla parte della realtà e dalla parte del sogno, così ti vengono le allucinazioni, sei come un sonnambulo che attraversa un paesaggio a braccia tese e tutto quello che tocchi entra a far parte del tuo sogno, anch’io, che sono vecchia e grassa e peso ottanta chili, mi sento dissolvere nell’aria a toccarti la mano, come se anch’io facessi parte del tuo sogno.

E cosa devo fare?, domandai, di’ un po’, Vecchia Zingara. Per adesso non puoi fare niente, rispose lei, questo giorno ti aspetta e tu non puoi sfuggirgli, non puoi sfuggire al tuo destino, sarà un giorno di tribolazione ma anche di purificazione, forse poi sarai in pace con te stesso, figliolo, perlomeno è quel che ti auguro […].  Vedo che devi far visita ad una persona, disse, ma la casa che vai cercando esiste solo nella tua memoria o nel tuo sogno.

Quando entra nel cimitero, è più calmo perché sa che il suo incontro è con un vecchio e caro amico: Tadeus Waclaw Slowacki, lo stesso fantasma che aleggia nei racconti di Angelo nero. Il loro dialogo mancato porta lo stesso autore a voler riprendere il discorso lasciato in sospeso per dare pace al suo fantasma.

Quando si sogna, certi elementi vengono rimossi perché non importanti. Non è rilevante come sia accaduto questo passaggio, perché non va a discapito di quello che deve accadere dopo, molto più importante. Il passato trova la sua realizzazione nel presente e quello che si attende non è il futuro, ma ciò che può ripetersi in questa zona di confine.

Nel corso della loro conversazione verrà fuori che Isabel aveva avuto una relazione con entrambi, relazione della quale Tadeus era venuto a conoscenza per ultimo. Il protagonista viene comunque a sapere che la giovane amante era rimasta incinta e che il suicidio era stato indotto dall’aborto compiuto per evitare lo scandalo.

Il suo rimorso riaffiora nei confronti della coppia a cui è stato legato, e Tadeus riferisce che l’unica cosa da fare è evocare anche il suo fantasma.

La recensione si era aperta dichiarando apertamente il motivo che ha mosso l’autore a scrivere l’opera: il senso di colpa nei confronti del padre. Nel quarto capitolo dialoga con lo spettro che teme di più. Si chiede come mai il suo genitore ventenne stia parlando in portoghese ma, come afferma l’autore, la lingua della memoria è quella lusitana. Come avevo detto anche in A Lisbona con Tabucchi, questa è la città dove ogni anima trova il porto sicuro.

 Il giovane marinaio chiede al protagonista di raccontargli della sua vita, perché vuole sapere, anche se sa già di dimenticare tutto una volta uscito da “quella porta”. Racconta di tutte le complicanze sopraggiunte con il tumore e le operazioni. Nella parte finale del dialogo vediamo il momento più autobiografico di Tabucchi perché cerca in qualche modo di trovare pace, chiedendo scusa al padre morto.

La gitana all’ingresso del cimitero lo aveva avvertito dicendo che “questo sarebbe stato per lui un giorno di tribolazione e purificazione”. La perdita subita è stata incorporata, elaborata e accettata.

Ciò che non viene riferito è l’incontro tra l’io narrante e Isabel. L’appuntamento era alla Casa do Alentejo, ma per saperne di più bisogna aspettare Per Isabel. Un mandala.

Il capitolo conclusivo è una riflessione sul rapporto che intrattiene con il suo importante modello e la sua realtà contemporanea. Il ristorante, definito post-moderno dai due convitati, è metafora di una visione della realtà che è plurima: il crollo delle certezze e l’impossibilità di dare una interpretazione univoca della realtà.

Tabucchi si affida spesso a riferimenti pessoani o anche ad altri autori perché non è in grado o non vuole dare una sua interpretazione del reale. I riferimenti al poeta lusitano sono molteplici in tutta la sua produzione però, forse, inizia a sentire il bisogno di staccarsi dal suo padre letterario.

Vuole uscire dall’ombra del suo mito e iniziare a osservare la realtà da una sua prospettiva, seppur insicura e plurima. Lo stesso poeta dice che per lui la verità suprema è quella di fingere, e lui l’ha praticamente vissuta da osservatore esterno rispetto ai personaggi da lui creati. Il suo convitato non dà al narratore delle reali risposte ma pone semplicemente altri interrogativi che lo portano a riflettere.

Requiem è quindi un regolamento di conti, ma l’autore rimane sempre sul filo. Accade anche con quest’ultimo personaggio, reale e irreale al contempo. Riuscirà a congedarsi dal suo modello solo con l’opera Gli ultimi tre giorni di vita di Fernando Pessoa.

E sì, se cercavate semplicemente la trama siete finiti sull’articolo sbagliato.

Federica Andreozzi

Leggo da sempre, e ho deciso di diventare miope e astigmatica solo per provarlo a tutti. La mia compagna di vita si chiama Ansia, che mi somiglia ma ci vede benissimo. Recensisco di tutto, anche le etichette delle camicie, ma se mi date un fantasy non potrò che assumere l’espressione schifata in foto.

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