Quanto blu – Percival Everett : recensione

Mai giudicare un libro dalla copertina, leggere la trama è importante. Ma soprattutto, non lasciarsi abbindolare dai soffietti editoriali. Può accadere anche ai lettori più rodati. Si, anche a me. Faccetta che ride, ma un po’muore dentro.

Un anno fa viene tradotto e pubblicato in Italia Quanto blu di Percival Everett, edito dalla Nave di Teseo, una delle nostre case editrici del cuore, come avrete notato.

Kevin Pace è un pittore di cinquantasei anni, sposato con Linda, dalla quale ha avuto due figli, April e Will.

Il protagonista è l’egocentrico artista di successo che sta vivendo la classica crisi di mezza età e che rimugina un po’ sul suo passato. Già dalle prime pagine è chiaro l’andamento della narrazione con l’alternarsi di flashback: uno risalente al 1979 ambientato nel Salvador a ridosso della guerra civile, dove ha vissuto eventi traumatici, e l’altro del periodo parigino, dove ebbe una relazione extraconiugale – mai confessata alla moglie – con una giovanissima acquerellista, Victoire, dieci anni prima.

Il romanzo inizia con la descrizione della grande tela a cui sta lavorando da diversi anni; è alta tre metri e cinquanta e larga sei metri e quarantasette. Un tipo molto preciso nei dettagli.

È un quadro che l’ha messo profondamente in crisi. Lo tiene celato a chiunque, ai familiari e al suo caro amico Richard, con cui ha vissuto gli eventi traumatici nel Salvador. Sostiene anche che la sua tela ha un titolo, ma non vuole mostrarla ai suoi figli perché poi vorrebbero darle un nome e probabilmente la rovinerebbero. Già qui si evidenzia l’egocentrismo con cui vive questo personaggio. Sicuramente non si possono mettere fretta e limiti al genio, però non penso che la prima persona che possa imbattersi davanti ad un quadro incompleto voglia per forza volergli dare un nome. Dannata sindrome di Adamo!

«Lo dicevano spesso, che io evitavo il blu. Ed era vero. Quel colore mi metteva in crisi. Non riuscivo a controllarlo. C’era quasi sempre come una base di calore nella mano di fondo, ma in superficie non si vedeva mai, non era mai più che un’idea in nessun quadro. E sebbene il blu sia tanto piacevole […] non lo potevo usare. Il colore della fedeltà, della lealtà, l’argomento dei filosofi, il nome di una forma musicale… ma il blu non era mio.»

Percival Everett racconta in maniera lineare e chiara senza mai perdere il segno –  nonostante i salti temporali nei diversi capitoli – la vita, le paure, i dubbi e i segreti nascosti che identificano il protagonista di Quanto blu. È una caratteristica dei grandi protagonisti della Nave di Teseo (vedi Il Colibrì). Descrive benissimo l’animo mostrando anche i demoni con cui convive Kevin, tra cui il suo abuso di alcol dovuto anche a vicende del suo passato. Lo scrittore ha una prosa così curata, intrigante eppur così familiare da permettere di intessere una fitta rete di eventi e offrire anche diversi spunti di riflessione.

Il problema che ho incontrato con la lettura è il non riuscire a simpatizzare per il tormentato pittore Kevin. Ho trovato quasi snervante il suo rimuginìo. Non prova un reale pentimento per la sua infedeltà – anche se ritiene che la moglie non meritasse una cosa simile –, né si sente realmente in colpa per la giovane francese che si innamora di lui. Adora l’essere amato e gongola di ciò. Da uomo vigliacco che è, non si lava la coscienza raccontando tutto a Linda, che probabilmente lo perdonerebbe. Aver subìto traumi nel Salvador non può diventare l’alibi per la sua pavidità. Kevin ha bisogno della sua realtà, dove può semplicemente pensare a sé, senza preoccuparsi del resto, nemmeno dei suoi figli, che non fanno a meno di rinfacciare un po’ la cosa.

Sulla costruzione penso che Quanto blu sia ineccepibile come l’analisi e la dettagliata descrizione psicologica, ma a livello di narrazione sono rimasta un po’ delusa dalle aspettative che avevo verso Percival Everett. L’immedesimarsi con il personaggio non può avvenire sempre in ogni lettura, soprattutto quando c’è molta differenza di età. E infatti mi sono scontrata con Kevin Pace che non è riuscito a catturarmi, anche a causa del suo disinteresse nei confronti della realtà circostante.

Avrò sicuramente modo di leggere altre opere dello scrittore, che viene considerato uno dei più importanti nel panorama contemporaneo, per apprezzare nuovamente la sua scrittura.

Per sintetizzare il romanzo in una frase, può essere significativo (mi si permetta lo spoiler) il finale:

«“Quanto blu” disse. “Quanto blu.”»

Federica Andreozzi

Leggo da sempre, e ho deciso di diventare miope e astigmatica solo per provarlo a tutti. La mia compagna di vita si chiama Ansia, che mi somiglia ma ci vede benissimo. Recensisco di tutto, anche le etichette delle camicie, ma se mi date un fantasy non potrò che assumere l’espressione schifata in foto.

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