Poverina è proprio la parola che è saltata nella mia mente quando ho visto le storie di Francesco Lancia in cui parlava dell’ictus di Chiara Galeazzi, la sua compagna. Ero preoccupato pur non essendo parenti o amici. Ho incontrato entrambi un paio di volte, da fan, a spettacoli o presentazioni. Il lockdown, però, ha avvicinato parecchie persone in modi impensabili.
Il primo giorno di chiusura sono entrato nel tunnel di Tutti a casa, l’unico appuntamento che ho mantenuto con le dirette web. Ciccio (come direbbe Mario Monti) Lancia e Francesco De Carlo presentavano, prima di tutti, l’unico modo possibile per tenersi davvero compagnia. Con loro, alcuni amici (cit.). Qui ho riscoperto la mia passione per Chiara Galeazzi: ospite di Tintoria quando non era ancora un podcast famoso, mi aveva già colpito per i suoi contenuti e la bellissima voce. Con le dirette di Tutti a casa ho iniziato a vedere Chiara e Francesco più dei miei genitori. Torniamo però al libro.
“Continuavo nella mia convinzione che si trattasse di un attacco di panico, una delle volontarie dell’ambulanza mi dava retta su questa cosa. Continuai a pensarlo anche quando il primo medico del pronto soccorso mi chiese di alzare entrambe le braccia davanti a me e la sinistra non mostrò nessuna intenzione di alzarsi, lasciandomi lì in un imbarazzante saluto romano. Pensavo all’attacco di panico anche quando ero dentro la macchina della TAC per un controllo alla testa. Ero così convinta che quando il medico tornò verso il mio letto tutto serio dicendo: «Signora, guardi, lei ha un’emorragia cerebrale», io gli risposi ridacchiando: «Eeeeh, addirittura».”
L’incipit di Poverina parla chiaro: “Gli ictus, come i figli, è meglio averli da giovani”. Avere del sangue che viaggia nella calotta cranica diventa meno brutto, ma ciò non esime da quella parola che Chiara odierà così tanto in ospedale da sceglierla come titolo del suo libro, senza pensare che sarebbe stata la parola che la maggior parte degli intervistatori (ne ho conosciuti diversi che a malapena sbocconcellano appena qualche pagina) avrebbe detto con tono alto e positivo subito prima del suo ingresso in scena alle presentazioni.
Nella parte che precede l’ingresso all’ospedale, Chiara Galeazzi parla dell’ansia e delle lacrime, e immagino sia un dato importante che la rende autrice perfetta per Saverio Raimondo. Impariamo subito che la vita non è perfetta, ma riderci su può essere un buon modo per affrontare le cose. Anzi, il grande problema medico che guiderà il romanzo si manifesta proprio in un momento lontano dal riso. Un consiglio spassionato: se su youtube beccate qualche vostra conoscenza tale da poterla ridurre al semplice aggettivo “stronz*”, cambiate video.
Conosco molto bene le possibilità umoristiche della malattia, visto che la mia famiglia è di casa all’ospedale. Dai medici e infermieri con nomignoli perfetti per farli riconoscere anche agli amici fino alle storie dei vicini di letto, ridiamo persino durante gli esercizi per la riabilitazione. Come accade con i maestri dell’umorismo, non esistono situazioni impossibili da rendere comiche. Ci sono paradossi degni di Achille Campanile o meccanismi inceppati della macchina ospedaliera, come nelle costruzioni di Frassineti.
Ciò che ho apprezzato ancor di più è il gusto della parola, della frase scritta in un certo modo, che legata al resto crea un testo estremamente saldo. Forse, a ben pensarci, è questo il problema di molti libri comici: mancano dei fondamentali. Qui invece si rispetta la struttura della battuta e del gioco linguistico ma la struttura del romanzo non viene mai meno. In Poverina c’è, tra le tante suggestioni, quella di Marcello Marchesi. In tal senso l’episodio che si svolge da Gucci è quasi illuminante.
Abbiamo già parlato di Chiara Galeazzi su Buongiorno Weekend di Martina Gatto (QUI dal quindicesimo minuto) e non smetteremo di certo ora, anzi: qualora vi mancasse il suo modo di guardare la realtà, il suo podcast Réclame farà al caso vostro!