Non cascateci, non fatevi ingannare. Non leggete Piove per esigenze di trama!
È come ritrovarsi in Inception ma con l’umorismo di Douglas Adams.
Come se Cornelia Funke e Andrea Camilleri avessero deciso di scrivere insieme un Riccardino in technicolor o un fantasy poliziesco. Ancora di più questa frase potrebbe tranquillamente uscire dalla bocca del commissario Elfo e quindi avvalorare la tesi che siamo tutti scritti da qualcuno e questa parte della mia vita è stata scritta da Nicolò Targhetta.
Dopo la lettura vi sentirete sballottati come se aveste usato una passaporta, una sensazione di strappo confusionale che J.K.Rowling descriveva perfettamente; sì, questo libro si potrebbe collegare facilmente al SEO di tutto il sito, ma anche di molti altri siti.
Piove per esigenze di trama è il paradiso dei lettori, e più nel dettaglio di polizieschi, thriller e noir.
È un libro al cui interno vengono citati tantissimi titoli, tantissimi autori e tantissimi personaggi, mentre le sinapsi del cervello del lettore scattano come un flipper, rimbalzando il segnale, per carpire la citazione, rispolverare il libro o googlare il nome di un autore.
Commissario Elfo è in fuga, è paranoico, noioso, e bruttarello; non ha l’ombra malinconica di Ricciardi e neppure il fascino da uomo vissuto di Schiavone, non è nemmeno troppo commissario.
Ma Elfo è un elfo – sì, proprio un elfo – dei boschi se vogliamo, con arco e frecce e orecchie a punta e magiche connessioni arboree. E cosa se ne fa di tutto questo? Niente.
Dicevo che Elfo è in fuga. Da cosa? Da se stesso, o meglio, dal se stesso chiuso in un libro.
ATTENZIONE – può contenere traccia di spoiler.
Prima di diventare commissario, in un libro precedente, Elfo era Terenss’ll – come si pronuncia? Ho visto un tik tok proprio sull’impronunciabilitá dei nomi nel fantasy – l’arciere di Avondale, protagonista di una fortunata saga fantasy, tanto che, durante le prime pagine del testo, mi sono chiesta perché se mi aspettavo un commissario stava cominciando Il Signore degli anelli in una versione a me sconosciuta, forse riprendeva dal Silmarillion, di cui non mi ricordo granché.
Ma non preoccupatevi perché ad un certo punto Terenss’ll rompe il più grande tabù del cinema, spezza la tensione narrativa, guarda l’anello nelle mani del mezzuomo, poi guarda in camera e dice l’equivalente libresco di: “A me non me ne frega un cazzo annamo a pijà er gelato?”.

Ovviamente non così, poiché ancora non sapeva quanto i regionalismi possano attirare il pubblico verso un ispettore, o forse quella è più roba da spalle? Ma ci arriveremo dopo.
Comunque, Terenss’ll dice non me ne frega un cazzo e mi dispiace non possiamo aiutarvi e da lì la strada è tutta in discesa, o forse è un precipizio, una slavina, verso la presa di coscienza di se, e della ciclicità della sua vita, la ripetizione delle sue avventure.
Elfo scappa dal suo libro, dalla consapevolezza di essere un personaggio nelle mani di uno scrittore, in una mossa di ribellione che ricorda molto quella per il libero arbitrio di Lucifero.
E diventa Elfo, vive in una specie di limbo/città in cui autori, personaggi ed idee si incontrano, si scontrano, si vendono, insomma, del tutto uguale alla realtà se non fosse che anche i personaggi di libri, favole, novelle e cantici devono sbattersi per un posto di lavoro.
Il nostro commissario però non vuole più fare il protagonista, vuole un lavoro normale, una vita normale, che lo tenga lontano dalle trame. Si veste svogliatamente non mette mai niente che possa attirare attenzione, cambia spesso abitudini e vizi, non usa i salti di capitolo e arriva a destinazione aspettando ai semafori e facendo lunghi parcheggi a esse. Soffre di attacchi di panico ed è ansioso e paranoide, sembra più il vicino di casa che non ci sta tanto più con la testa, che il protagonista di un poliziesco.
MA! Non chiamatelo protagonista! Non diteglielo, altrimenti ci vorranno due capitoli per sbloccarlo dall’attacco di panico.
La trama però ti trova, perché qualcuno da qualche parte scrive. Sempre.
Piove per esigenze di trama è il racconto della fuga di commissario Elfo dalle trame, dal ruolo di protagonista e dalle decisioni degli scrittori. Lavoro peggiore non poteva scegliersi.
Lo sciacallaggio che c’è oggi attorno a commissari, ispettori, detective, non risparmia neanche le anziane che sferruzzano in ameni villaggi inglesi; soprattutto se il tuo diretto superiore è il questore Bjorn Bjornson, al cui passaggio nevica, che sembra stato scritto da Jo Nesbø e insegue i cattivi nelle foreste con un impeto a metà tra Rambo e Bear Grylls e la tua spalla è una fiaba lituana di un metro e mezzo, col sorriso di sole, la bocca di un camionista nel traffico cittadino e ambizioni da protagonista.
Il lettore è già tuo, il libro non è ancora finito è già vogliamo che sia una serie.
All’inizio credevo che fosse una trama molto Inkheart, dove i personaggi continuano a vivere una volta che li hai raccontati, poi ho pensato a Riccardino, dove personaggio, autore e attore televisivo entrano in conflitto, poi la narrazione abbandona il taglio filosofico-nostalgico, per dare al lettore quello che vuole, cioè inseguimenti e sparatorie e tradimenti, rivelazioni scottanti indizi, in un intruglio d’azione con scene di estraniazione a metà tra Matrix e Trainspotting.
Questo libro è una lotta per la liberazione del personaggio dal giogo dello scrittore, l’attimo per scriversi da solo, per appartenere a se stesso, per poter essere come si è e non solo nei limiti di come si viene scritti.
E da blogger devo dire che mi è rimasta un po’ la paura di scrivere una qualsiasi cosa, di poter ferire, scartandola, un’idea o di trattare male un personaggio e che poi questi si vendichino uccidendomi nel sonno!
Dovete leggerlo, perché anche se io non amo i libri dal genere indefinibile, con cambi di tono, di narrazione e di tempo, libri in cui tutto è possibile, la scrittura di Nicolò Targhetta è (volevo dire assolutamente, ma con tutti questi avverbi chi mi pubblicherà?) divertente, nei dialoghi, anche quando sono studiati per ricalcare un cliché, non perdono quella nota umoristica da non prendiamoci troppo sul serio. Mi sento solo di aggiungere, come incentivo alla lettura, se ce ne fosse bisogno, che ad un certo punto c’è una specie di Harry Potter malvagio che amerete.
Nell’eterna lotta tra essere scrittori o personaggio, tra essere scritto o scrivere, Piove per esigenze di trama ti fa venir voglia di esserci dentro, di essere scritto per un po’ e vedere che succede. Di conoscere il commissario Elfo e provare a vedere il tuo ruolo nella trama.
Certo, Elfo ci odierà, proprio perché noi lettori con la nostra ingordigia non siamo mai sazi di trame, e ogni volta chiediamo che il nostro beniamino venga inserito in una nuova. Ed è proprio quello che succede qui (e ci odierebbe ancora di più se ora dicessi che ci vedrei bene un film).
Ma come si fa a non voler leggere ancora del Commissario Elfo? Lui che nel non voler essere personaggio lo è così perfettamente?
Con la sua esperienza avrebbe dovuto sapere che i commissari più sono schivi, ritrosi, drogati, scontrosi, con tecniche di indagine sommarie e poche capacità di socializzazione e più piacciono!
Ma perché adesso che ho chiamato Elfo “commissario” mi è sembrato di descrivere Rocco Schiavone? Nicolò attento a non cadermi nella giallistica romanesca, che la neve in commissariato già c’è.
Vorrei lanciare solo un input, una speranza, allo scrittore, io sono per il team Tegolina, e il ritorno di un poliziotta super cazzuta. Per favore, realizza questo sogno, in fondo in ogni giallo autore e lettore sono complici del crimine. Uno lo scrive, l’altro lo legge.
Le uniche vittime sono sempre i personaggi.