Notturno indiano – Antonio Tabucchi : recensione

La letteratura è specchio della vita, un riflesso della realtà circostante. È una terra da esplorare e riscoprire che ci permette di comprendere e porre domande sull’esistenza umana e sul come conoscersi. Pessoa, nell’ultimo capitolo di Requiem, dice a Tabucchi di brindare al secolo prossimo, in modo da esorcizzare la crisi che ha assediato l’uomo moderno; mette in crisi le conoscenze e il pensiero passato, che hanno creato un conflitto interiore su quelle che venivano ritenute certezze. Notturno indiano è quasi un emblema.

Lo scrittore novecentesco cammina a tentoni in questa nuova realtà. Tabucchi si definisce figlio di Pirandello, che si pone quesiti su chi siamo davvero e quante realtà abbiamo in e attorno a noi, arrivando infine a radicarsi in Pessoa, tendente all’estremo, allo straniamento, frantumando la sua realtà in pezzi, coi suoi eteronimi che vivono di vita propria. L’autore pisano, come molti altri, si interroga sul senso dell’esistenza e sul dualismo tra essere e apparire, varcando i confini del possibile e raggiungendo i contenuti rimossi che risiedono ancora nel suo inconscio.

La realtà per lui è qualcosa di indecifrabile, ed è impossibile dotarla di senso. Quello che può fare è interrogarla attraverso indagini.  Per questo tipo di ricerca si reca in India, la patria di un tipo di sacralità molto distante da quella occidentale, ricca di elementi e simboli, come ad esempio i mandala.  

Negli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini pubblica il suo diario di viaggio L’odore dell’India nel quale compie un resoconto del suo tour e dell’esperienza vissuta soprattutto attraverso suggestioni olfattive. Realizzerà anche un documentario intitolato Appunti per un film sull’ India, presentato anche alla XXIX Mostra del Cinema di Venezia del 1968.

Pasolini sceglie come compagno di viaggio Alberto Moravia che nel suo libro Un’idea dell’India manifesta una opinione molto discordante rispetto allo scrittore friulano. Il suo è un viaggio solitario, critico e distaccato.

L’India che descrive Tabucchi è invece astratta, simbolica. Notturno indiano si trasforma, col passare dei capitoli, da una testimonianza reale a un itinerario privato.

«in India ho provato un grande senso di estraneità che forse dal mio romanzo viene fuori. Forse è il luogo della terra che ha dato di più il senso di estraneità a una persona non preparata culturalmente come me. Il senso di solitudine che si prova ci obbliga a stare con noi stessi.»

Il viaggio percorso dall’io narrante di Notturno indiano è una ricerca che è già avvenuta. È un’azione passata che trova il suo compimento in un futuro, oltrepassando la logica del tempo oggettivo e la sua realizzazione nella dimensione onirica. Tabucchi nella nota iniziale lo premette: «Questo libro, oltre che un’insonnia, è un viaggio. L’insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il viaggio a chi lo fece.».

Nell’intero romanzo ciò che rende realistica e possibile questa indagine è il fatto che vengano utilizzati elementi della realtà concreta come alberghi, ristoranti e l’indice dei luoghi che visita, insieme alla sua guida turistica.

Il protagonista si è recato in India perché ha perso le tracce da più di un anno di un suo caro amico, Xavier.

L’autore, nei diversi capitoli, mette indizi che permettono man mano di comprendere il vero oggetto di questa ricerca: il proprio io passato, il progetto e l’aspirazione di una identità diversa. Questa indagine insegue un’ombra che si nasconde, camuffandosi. Diversi incontri saranno significativi, rivelando informazioni aggiuntive che leggiamo nei capitoli pari, forse un altro richiamo alla duplice realtà.

Nel sesto capitolo il protagonista legge una lettera di Xavier:

 Caro Maestro e Amico, le circostanze della mia vita non mi permettono che io ritorni a passeggiare lungo le rive dell’Adyar. Sono diventato un uccello notturno, e preferisco pensare che lo abbia voluto il mio destino. Mi ricordi come mi ha conosciuto. Il suo X. 

Si trova a passeggiare vicino alla riva del fiume Mandovi, a Goa, dove scorge la luna che gli sembra piena e sanguinosa. Lì inizia a fischiettare una canzone napoletana e comprende il rebus di cui era stato vittima.

Dopo aver ricevuto delle informazioni dal cameriere di un albergo dove sicuramente Xavier aveva alloggiato, si reca al ristorante dell’Oberoi Hotel e decide di cenare con una donna con cui aveva diviso la corsa in taxi. I due si trovano nella sala del ristorante e gustano insieme una cena.

SPOILER:

La sciarada, di cui il lettore si accorge solo nel capitolo conclusivo, si risolve in colui che stava cercando, Roux, che in realtà era allo stesso tempo rincorso da colui che inseguiva. Potremmo dire che Xavier ripercorre a ritroso il labirinto da cui vuole uscire, e l’unico modo per fare ciò è narrando la vicenda alla ragazza con cui cena al ristorante come fosse un sogno.

«Insomma l’uomo che la cercava è riuscito a trovarla» disse Christine.

«Non esattamente», dissi io, «non è proprio così. Mi ha cercato tanto, e ora che mi ha trovato non ha più voglia di trovarmi, mi scusi il bisticcio ma è proprio così. E anch’io non ho voglia di essere trovato. Entrambi pensiamo esattamente la stessa cosa, ci limitiamo a guardarci».

L’incontro non è giunto a compimento. La sua ricerca si è risolta nel nulla, nel non agire.

Tabucchi cerca spesso la complicità del lettore, optando per finali aperti o dalla fine equivoca (proprio come per Notturno indiano), perché si sente incapace di leggere la vita completamente. Nessuno è pronto a concludere la propria ricerca personale prematuramente, semmai si riesca a concluderla prima di svoltare l’ultimo angolo. O, nel caso di Tabucchi, prima di scrivere l’ultimo romanzo.

Federica Andreozzi

Leggo da sempre, e ho deciso di diventare miope e astigmatica solo per provarlo a tutti. La mia compagna di vita si chiama Ansia, che mi somiglia ma ci vede benissimo. Recensisco di tutto, anche le etichette delle camicie, ma se mi date un fantasy non potrò che assumere l’espressione schifata in foto.

Lascia un commento