Nipporivelazioni gastronomiche – Elisa Nata : recensione

Di solito leggo classici, le nuove proposte non fanno molto per me. Quando entro in libreria vengo sempre attratta, come da una forza misteriosa, verso gli scaffali che contengono volumi senza tempo, immortali. Di solito ma non questa volta. Quando ho sentito nominare per la prima volta Nipporivelazioni gastronomiche. Dieci specialità per scoprire la vera anima del Sol Levante, libro di esordio di Elisa Nata, uscito per Trenta Editore a febbraio del 2021, la mia attenzione è stata subito catturata.

Galeotto fu il titolo, che mi spinse ad approfondire. Quando mi accorsi che era un libro di cucina, pensai che non fosse assolutamente adatto a me. Non so cucinare nemmeno una frittata, mi dicevo, figuriamoci le specialità giapponesi. Ma c’era quel “rivelazioni” nel titolo, una semplice parola che però pareva lampeggiare come a illuminarmi la strada. Sentivo che doveva essere qualcosa in più e, per fortuna, almeno quella volta mi fidai del mio istinto.

Nipporivelazioni gastronomiche nasce dall’esperienza di Elisa Nata, giornalista enogastronomica dal 2015, e dal suo viaggio di nozze in Giappone. Chi come me è innamorato della cultura nipponica sa bene quanto questa sia capace di rapirti e trascinarti nel suo mondo; è una cultura carismatica e anche un po’assoluta. Dopo averti conquistato non ti abbandona più e non lascia nemmeno spazio al resto. È proprio questo ciò che è capitato ad Elisa Nata.

L’intento del libro è quello di scoprire la vera anima del Sol Levante, al di là del classici stereotipi e luoghi comuni. Ma come fare a comprendere e far comprendere un’identità così complessa e sfaccettata come quella giapponese? Come poter riportare le impressioni di un primo viaggio in terra nipponica velando l’occhio occidentale? Elisa Nata ha trovato la risposta nella cucina. Sì, perché essa è, seppur con variegate sfaccettature, un valore universale in grado di raccontare e unire. È con i piatti tradizionali, infatti, che l’autrice ci guida alla scoperta del Giappone.

Attraverso la selezione di dieci specialità, l’autrice ritrova le sensazioni provate durante il suo viaggio e le mostra agli incauti spettatori spiegando loro i significati che ogni pietanza porta con sé; ci trascina in un’avventura che coinvolge corpo e spirito alla scoperta della wa l’armonia, sintesi di tutto. Essa è, infatti, un’attenzione alla bellezza ma mai fine a sé stessa, non forma ma sostanza. Legame saldo e ineluttabile fra ogni cosa, dalla più banale alla più complessa, che fa da filo conduttore a pensieri e azioni; come ci racconta Nata, è uno degli ingredienti fondamentali anche della cucina nel Paese del Sol Levante.

Ognuna delle dieci specialità è spiegata nel dettaglio, con storia, tradizioni, curiosità, e abbinata con cura e selezione del particolare ad una o più ricette; queste vengono da dieci chef dell’AIRG (Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi) che hanno messo a disposizione la loro professionalità e le loro conoscenze. Così ci insegnano un po’di più su una forma di alimentazione che è stata proclamata dall’UNESCO Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

Il primo capitolo, che è stato anche uno dei miei preferiti e quello che da subito mi ha conquistato, è dedicato al sushi. Parliamo del piatto rappresentativo del Giappone per antonomasia. Almeno al di qua di quella linea immaginaria che ci divide dall’Oriente. La volontà dell’autrice è cambiare la prospettiva occidentale su un piatto considerato generalmente emblema del Giappone, senza però né conoscerlo né comprenderlo profondamente.

Nel disegno di una trama che collega ogni pietanza a un valore preponderante della cultura nipponica, Elisa Nata ci insegna come il sushi incarni alla perfezione lo sooncho, il rispetto.

Primo fra tutti il rispetto per l’arte e l’esperienza dell’itamae, l’artigiano del sushi. Solo con anni di duro lavoro e costante esercizio si può aspirare a diventare esperto nella preparazione di questa pietanza. Essa, infatti, al pari di quelle marziali, è un’arte e chi la pratica può diventare maestro. La strada per raggiungere il grado di itamae mi ha ricordato le nove virtù del bushido, la via del guerriero: onore, fedeltà, sincerità, coraggio, bontà e benevolenza, umiltà, rettitudine, rispetto e autocontrollo. È una vera e propria filosofia basata principalmente sul rispetto per gli ingredienti; non cibi ma virtù, sia nella preparazione (esaltandoli con accostamenti ad hoc) sia nella degustazione.

Il sushi infatti, come tutto in Giappone, viene mangiato usando le bacchette e non le nostre posate. Questo perché i giapponesi hanno molto rispetto per tutto ciò che deriva dalla natura e per il sacrificio compiuto da ogni essere vivente (animale o vegetale) che, con la propria morte, ci permette di mangiare. Questo sacrificio non deve mai essere vano. Anzi, va sempre valorizzato, e per questo il cibo viene trattato con dignità: raccolto e non infilzato.

Il rispetto quindi è uno dei valori guida della vita e della cultura giapponese; il sushi se ne fa veicolo, dalla preparazione fino al consumo, mostrando come possa essere espresso anche solo attraverso i gesti.

Altri due capitoli che ho trovato meravigliosamente descrittivi e capaci di cogliere la vera essenza giapponese sono il terzo: La cucina kaiseki: bellezza eleganza e armonia; e il quarto: Il chanoyu: un inno all’ospitalità, alla cortesia e alla gentilezza. Rispettivamente sono dedicati alla storica cerimonia del tè (il chanoyu) e allo stile culinario che la accompagnava (kaiseki). Nata ci insegna come esse siano l’espressione suprema di una delle virtù principali della filosofia giapponese: l’omotenashi, l’arte dell’accoglienza.

Sia la cerimonia del tè che lo stile culinario che le fa da accompagnatore sono tradizioni antiche e radicate, che dimostrano come i giapponesi sappiano esaltare l’attenzione alla bellezza. Non va intesa come caratteristica estetica, ma ricerca di armonia, rispetto, purezza e tranquillità. Il rito del chanoyu è l’espressione più significativa dell’ospitalità giapponese. Attraverso una sequenza di passaggi ben precisi e una scelta capillare dell’oggettistica, la cerimonia del tè segue la filosofia Zen nell’insegnare che anche negli aspetti più piccoli dell’esistenza si può cogliere la grandezza. E cosa c’è di più piccolo di una tazza di tè?

La cucina kaiseki nasce come simbolo di ospitalità accompagnando il rituale del tè. Oggi è sinonimo di stile culinario elegante e raffinato, è una vera e propria arte. I piatti sono delle tele dove il pittore-chef dipinge un equilibrio visivo tale da creare un vero e proprio spettacolo. Il tutto per fare in modo che l’ospite esperisca il “nutrirsi” come momento di serenità e armonia.

L’ultimo capitolo di cui scelgo di parlarvi è il settimo: Il ramen: l’arte di imparare dagli altri per creare qualcosa di unico. In un mondo che si fa via via più multiculturale, Elisa Nata mostra come la cucina sia un campo privo di razzismo e stereotipi; e lo fa assegnando al ramen il ruolo di ibrido culturale. Esso è infatti nato nella vicina Cina, importato in Giappone e reso giapponese attraverso un processo di naturalizzazione. Partendo da un’idea di base straniera, gli chef giapponesi lo hanno trasformato nel corso degli anni, con sperimentazioni e miglioramenti. Arriva allora a una nuova anima e una nuova identità, che è appunto ibrida.

La storia del ramen si lega a doppio filo con quella della cucina nikkei e yoshoku: il risultato della contaminazione (capitolo ottavo). Questi stili culinari seguono il percorso inverso, non importati bensì esportati. Questo è il metodo che i giapponesi all’estero (prevalentemente in Brasile e Perù) hanno ideato per sentirsi a casa. Non riuscendo a trovare i prodotti originali della loro terra, gli chef emigrati hanno sviluppato un altro stile gastronomico, frutto dell’adattamento ai prodotti locali e al loro nuovo Paese. Una nuova interpretazione di vecchie ricette, con prodotti diversi ma con le stesse mani e le stesse tecniche usate in Giappone. Perché «capire a fondo un Paese e i suoi abitanti non significa solo comprendere da dove si viene ma anche in che direzioni si sta andando.»

Eleonora Pellegrini

Nata a Roma nel 1991, la piccola Eleonora assimila da subito gli eventi di quell’anno per diventare una sognatrice realista da grande. Assetata di libri, che divora però con una lentezza snervante, ha un marito pubblico e un amante privato come ogni donna di potere: il primo è la Letteratura Angloamericana, a cui è legata dal filo rosso del destino; il secondo è il Giappone, la sua cultura e la sua letteratura. Prolissa e fredda come un Calippo al lime, è capace di emozionare chi legge i suoi scritti come la calza della Befana Kinder emoziona tutti i venticinquenni ogni 6 gennaio.

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