Niente di vero – Veronica Raimo : recensione

Niente di vero, dove Vero è anche il nome dell’autrice Veronica Raimo, e questa è la sua storia.

Una volta sono andata ad un incontro di lettura dove veniva richiesto di leggere ad alta voce. In seguito si evidenziava la differenza tra una lettura effettiva ed una lettura eseguita da quella che è la nostra voce interiore.

La mia, di voce interiore, fa parlare in modi simili personaggi come Veronica, Gaia, de L’acqua del lago non è mai dolce e Calliope di Middlesex.

Tra le prime due si tende un filo rosso che è più evidente, ad esempio, nei personaggi ingombranti delle madri.

Il collegamento con Calliope non mi è ancora così evidente, eppure in maniera inconscia il mio cervello lo ha trovato.

Sarà anche solo per l’immediata simpatia che mi ha legato a Calliope, così come a Veronica.

Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita, si dice.

In realtà la famiglia se la caverà alla grande, come è sempre stato dall’alba dei tempi, mentre sarà lo scrittore a fare una brutta fine nel tentativo disperato di uccidere madri

padri e fratelli, per poi ritrovarseli inesorabilmente vivi.

Il libro di Veronica Raimo dà un primo sentimento di estraniazione, la necessità di prendere una distanza, tra lettore e fatti narrati. E poi lentamente ti avvolge nelle sue spire.

Più che il racconto di una famiglia è il racconto di un io che si rapporta alla famiglia.

Non posso parlare per tutta una fetta di giovani lettori e scrittori e le loro famiglie. Ma una piccola parte di questa categoria potrà riconoscersi nella necessità di voler, almeno una volta, e solo con la penna, assecondare la necessità di smembrare, scardinare, dissacrare i sacri vincoli familiari e l’immacolata figura della madre.

[…] – Ma perché i romanzi italiani parlano tutti di legami famigliari?

Chiede un’amica di Veronica in Niente di vero; ho letto un articolo che riportava tutto al fatto che in Italia siamo quelli più schiacciati dai sensi di colpa; dalle ombre altissime degli altarini su cui poniamo la famiglia e l’idealizzazione dei suoi componenti. E forse ha ragione Giorgia Fumo quando nei suoi divertenti e veritieri video mette a confronto la visione esterna dell’Italia nel cinema, come popolo di allegri cialtroni che si godono la vita e poi le atmosfere del cinema italiano che mettono in mostra tutta la polvere nascosta sotto il tappeto degli spot Barilla, Mulino Bianco ̶ vedete voi, non vuole essere un attacco diretto.

All’interno del romanzo viene messa in luce la difficoltà di essere, all’interno della propria famiglia; di essere abbastanza, di essere visti, amati, per sé stessi, con tutti i nostri talenti o con la totale mancanza di essi. La Veronica bambina sembra dire: ehi, guardatemi, sono qui, non vado bene forse?

E la risposta è un non vedere, non accorgersi. Finché a quella bambina non si possa dare un valore, una qualità, una caratteristica con cui venderla agli occhi del mondo.

Ed è così che nasce il falso, la bugia. Il Niente di vero di una vita che va costruita piano piano, con una piccola bugia, un’omissione, la falsificazione stessa dei ricordi.

Se sono tutti brutti, costruiscitene di migliori. E Se la vita sentimentale di un un’adolescente ristagna arricchiscila con le massime di un ragazzo inventato dalla penna di uno scrittore che sembra fare giusto al caso tuo. Se non vuoi ferire i sentimenti materni, puoi sempre dire che l’anello col cameo, sì, te l’ha regalato nonna Muccia, certo. Perché negare. Quando invece te lo sei comprato da sola.

E perché non guardare a quell’anello con affetto sotto l’occhio critico dello sguardo altrui che non può sapere nulla della crudeltà di un’anziana e delle estati torride del Tavoliere pugliese!

Avevo promesso a me stessa che non avrei parlato del ricordo che mi ha colpito di più. Di quello che ho capito meno e che in maniera laterale mi tocca da vicino. Quello della vista di un incidente mortale, nell’entroterra foggiano, sulla strada lungo il mare. Mentre gli zii di una Veronica bambina si lasciano indietro una ragazza coperta di sangue e i suoi compagni agonizzanti, giudicandola per il seno scoperto sotto le macchie di sangue.

Questo, tra i ricordi, in un gioco tra vero e falso e modificato e ricostruito è l’episodio che ha segnato di più la mia fiducia nell’umanità e nelle provincia foggiana. Perché io nella provincia foggiana ci vivo. E poteva succedere a me, anche se l’incidente più grave in cui sono stata coinvolta è stato un lieve tamponamento, non ha importanza, potevamo essere noi quelli nell’auto ribaltata, quelli a non ricevere aiuto. Non un atto di eroismo, ma almeno una telefonata. Spero che i tempi siano cambiati o che il ricordo sia almeno un po’ falsato.

Orribili ricordi pugliesi a parte, Veronica mi piace. Mi piace il suo modo di inventarsi, di sgomitare, mi piacciono i suoi dubbi, il mantenere le sue idee, le sue posizioni.

In Niente di vero la maternità viene esaminata in ogni sua forma; dalla nonna alla madre, dalla madre alla figlia, da Veronica al suo non voler diventare madre.

Il fine ultimo dell’esistenza di una donna non è la maternità. È l’esistere, come quella di molti uomini che scelgono di non avere figli e per loro non esistono obiettori ed orologi biologici, cimiteri non autorizzati e soprusi alla privacy.

Veronica mi piace perché affronta tutto. Senza la pretesa di essere sempre nel giusto, di star facendo le cose bene, ma con i dubbi, con il timore di ferire gli altri, di allontanarli anche quando non se ne ha l’intenzione pur di non mostrare, a volte, la parte più vulnerabile di sé stessi.

Qualche anno fa non sarei riuscita ad apprezzare questo libro, la storia imperfetta di una protagonista imperfetta, la storia di una vita che alla fine è più vera di quello che sembra.

Oriana D'Apote

Oriana D'Apote classe ’93 un pendolo che oscilla tra la Puglia e l’Abruzzo. La mia prima natura è quella di ascoltatrice di storie, con l'animo inquieto sempre alla ricerca di qualcosa, il dettaglio, la poesia. Sogno di acquistare centinaia di fiabe illustrate, leggo storie crude. Vivo come il protagonista di un noir a colori dove alla fine prenderò il cattivo, risolverò il caso.

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