L’uomo che viaggiava con la peste di Vincent Devannes è quasi certamente il romanzo più misterioso che abbia letto. Il protagonista, Albert Dallien, questo è il nome che ha deciso di avere, sbarca a Buenos Aires nell’immediato dopoguerra dalla Francia, o almeno così scrive sui suoi documenti.
L’uomo che viaggia con la peste è lui e, sebbene ci racconterà in prima persona la sua vita per ben 30 anni, non scopriremo mai chi si celi dietro quel nome. Nel corso del romanzo troveremo dei momenti di epifania che si disperderanno come il fumo negli occhi che Albert lancerà a chi vorrà smascherarlo.
Un uomo che ha un segreto che non vuole rivelare è tanto assetato di sicurezza quanto debole e il nostro eroe vivrà di quello; sarà un’eminenza grigia facilmente manipolabile. Albert sarà la faccia bella e pulita guidata dalla malavita argentina. Non sapremo mai fino alla fine di chi è servo e di chi è padrone; sappiamo solo che la sua unica missione è sopravvivere.
Se decifrare l’uomo è quasi impossibile, la peste (i vari tipi di peste) con cui viaggia è ben presentata nel corso del romanzo. Prostituzione, aborti clandestini, spionaggio, contatti con nazisti fuggiti dall’Europa e narcotraffico formano il contenuto della pesante valigia che Albert si porta dietro attraverso i quartieri di Buenos Aires prima e per il Sud-America dopo. La storia che Albert stesso narra sembra più volta a raccontarci qualcosa sulla società argentina dell’immediato dopoguerra che a parlarci di sé stesso.
Un espediente narrativo simile c’è in Il grande Gatsby, in cui il protagonista Nick Carraway è sì il narratore, ma fondamentalmente rimane un ideale spettatore di tutta la travagliata vicenda del romanzo di Fitzgerald.
Proprio come Nick, Albert viene sballottato dai suoi degni complici su e giù per Buenos Aires, in giri che sembrano avere senso; ma questo è solo un modo per sentirsi meno vuoti e, come lui, si limita a osservare attentamente ciò che gli accade attorno.
Come Il grande Gatsby, L’uomo che viaggiava con la peste filtra attraverso gli occhi del suo narratore l’immagine della società del tempo. Come gli Stati Uniti degli anni Venti, l’Argentina descritta da Devannes si mostra piena di brutture. Ne esce fuori un affresco crudo e macabro fatto di povertà, miseria morale e traffici di ogni genere di merce, soprattutto umana.
Un’altra particolarità di questo romanzo, che contribuisce a creare l’aura di mistero che lo ricopre, è la presenza, tra un capitolo è l’altro, di consistenti salti temporali: Ci ritroviamo avanti di molti anni e nel bel mezzo dall’azione come se fosse passata una sola ora dal capitolo precedente: il lettore si deve ambientare nel nuovo habitat in cui il nostro eroe è finito, proprio come deve fare lui stesso. L’uomo che viaggiava con la peste è un romanzo da scoprire, lascia il suo lettore nella nebbia come i protagonisti di un vecchio film noir.