L’istinto muove le decisioni dell’uomo nel corso della vita, così come è sempre accaduto a Simon Axler ne L’umiliazione di Philip Roth. Certe persone sono più razionali mentre altre sono più di pancia; Simon è un noto attore teatrale che cade in una crisi profonda quando perde la sua spontaneità, diventando più dubbioso.
Per un attore è fondamentale la capacità di ascolto; il non riuscire più a dire le battute ma a “recitarle” è la cosa peggiore che può capitare ad una artista. A differenza di molte figure, Simon decide persino di non sprofondare i suoi dispiaceri nell’alcol ma prende in considerazione direttamente il gesto fatale, come Hemingway; alla fine si tira però indietro perché vede il suicidio come un ruolo da interpretare e che si scrive per sé stessi, semplicemente andando in scena solo una volta.
Decide di ricoverarsi in una clinica psichiatrica per cercare di stare meglio. Nella produzione letteraria di Roth il dialogo con lo psicologo è un elemento sempre ricorrente, così come ne Il seno, solo che lì l’elemento destabilizzante è più radicale.
In quel breve soggiorno avrà modo di sprofondare in una analisi capillare del suo passato, ansie e paure. Andrà a fargli visita anche il suo agente; proverà a rassicurarlo dicendo anche che i grandi ruoli come il Prospero o il Macbeth sono personaggi quasi impossibili da raggiungere e che metterebbero in crisi chiunque. La narrazione verrà scandita spesso da citazioni di Shakespeare e anche dal teatro di Čechov e Williams.
Nell’Umiliazione di Roth ci sono attori spersi che vanno in cerca del loro autore, come la giovane Sybil Van Buren che confiderà al protagonista di aver scoperto il marito che abusava della figlia di 7 anni e della sua volontà di commissionare un sicario per assassinare il marito. E Simon che riesce a crederle nonostante trovi a volte la sua interpretazione un po’eccessiva e non minimalista. Sicuramente un elemento inserito dall’autore per provocare il lettore più incline ad impressionarsi e propenso a chiudere il libro al minimo effetto forte e provocatorio.
La critica dell’epoca non accolse con molto entusiasmo questa lettura. Dissero che era una accozzaglia di crisi, perversione, sesso e desiderio di esplorazione senza una reale trama ben definita. La storia d’amore sarà ciò che porterà avanti la narrazione: una ragazza di 40 anni lesbica che proverà a cambiare il copione della sua vita realizzando la fantasia di stare con Simon.
Non è possibile rendere sempre reale una rappresentazione per il pubblico, soprattutto quando non si è capaci di renderla plausibile per sé stessi.
Un dramma con crisi esistenziale un po’alla Woody Allen ma con protagonista un Michael Douglas brillante che può conquistare e sedurre anche una lesbica convinta. O quasi. Una mia personale trasposizione cinematografica sempre mentale, si intende.
Un ritratto della decadenza umana – sia fisica che mentale – spietatamente vero e angosciante. Forse stona leggermente l’elemento sessuale nella terza parte, portato all’estremo per provocare il lettore. L’ironia rimane sempre l’elemento più bello e fantastico della scrittura di Roth. Il Gabbiano è poi l’interpretazione finale che ogni attore può desiderare per calcare le scene un’ultima volta.
«Il fatto è che Konstantin Gavrilovič si è sparato»