Lessico famigliare – Natalia Ginzburg : recensione

Ad inaugurare i dissaclassici c’è Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, libro autobiografico scritto in pochi mesi tra l’ottobre 1962 e il febbraio 1963.

Quest’opera al momento dell’uscita ha spezzato la critica: qualcuno ne ha visto l’ultima traccia del romanzo neoralista e chi un ritrattino di una famiglia borghese. Con la mia vena conciliante, mi sento di piazzare la mia recensione a metà tra i due pareri. L’ho trovato un libro sicuramente ironico e con una sua poetica abbastanza originale, il che non guasta mai.

Lessico famigliare racconta la vita della famiglia dell’autrice, i Levi, attraverso piccoli e grandi aneddoti sui suoi parenti e amici. L’arco temporale del libro va da quando Natalia Ginzburg era bambina nella Torino del primo dopoguerra fino al suo trasferimento a Roma nel 1950. Come succede spesso nei ricordi, non c’è una scansione temporale precisa, e ci si ritrova di fronte ad un passato non sempre ben definito; La Ginzburg si limita a segnare alcune date fondamentali su cui fa ruotare le storie che racconta.

Come lascia intuire il titolo, tema principale del libro è la parola, in tutti quei modi di dire e figure retoriche proprie di ogni famiglia. Ne viene fuori un continuo ripetersi nel corso del libro di frasi fatte e vecchie storie che rendono il lettore un ipotetico membro di questa famiglia.

Credo che l’ironia sia la chiave di lettura più piacevole per non perdersi nell’affastellarsi di aneddoti che compongono Lessico famigliare, anche perché immagino che ce ne volesse molta per vivere a casa Levi!

La famiglia Levi è quella che oggi potremmo definire radical chic. Nella loro casa sono ospiti alcuni dei personaggi più importanti della Torino di quell’epoca come Filippo Turati, Cesare Pavese e Adriano Olivetti. L’autrice ce ne restituisce degli schizzi informali e ironici.

L’ossessione del fratello Mario per “le sue robine”, le sgrammaticature della donna di servizio, la strana dialettica dei genitori, sono alcuni leitmotiv di queste memorie.

Giuseppe Levi, rigido professore universitario e uomo fin troppo schietto, non risparmia un “asino/negro” a nessuno dei propri figli, colleghi e i suoi illustri amici. Ha un suo lessico a metà tra l’italiano e il triestino, fatto quasi solo di dispregiativi. Durante la lettura non sapevo mai se ridere oppure innervosirmi.

Al contrario, la madre Lidia è dipinta come una donna un po’ svampita che pensa solo a quali vestiti comprare, e sui temi politici va sempre a simpatia. Per quanto mi riguarda è la linea comica di tutto il libro.

Una delle peculiarità di Lessico famigliare, se inquadrato nella narrativa neoralista, è quella di lasciare la “grande storia” alle spalle delle vicende personali dell’autrice. In romanzi come Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino o Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani la realtà della dittatura e della guerra è sempre una presenza inquietante; qui Ginzburg pur essendo nel pieno degli accadimenti, ne parla come di un’eco lontana.

Sembra quasi che i Levi, ferventi antifascisti, ritengano il regime come qualcosa di volgare e grottesco, da non prendere poi molto in considerazione.

Il confino, i rastrellamenti, i bombardamenti sono descritti con lo stesso tono con cui si narra l’abbandono della domestica; l’autrice si focalizza più su cosa la guerra ha fatto alle persone a lei care che sulla drammaticità dell’evento in sé.

Con Lessico famigliare Natalia Ginzburg ci propone la sua personale visione della realtà del ventennio fascista e della Seconda Guerra Mondiale, che risulta non sempre oggettiva ma non per questo meno realistica.

Laura Perrotti

Nata quasi trent’anni fa, non ricordo un momento della mia vita in cui non ho avuto un libro sul comodino. Amo tutti quei romanzi che riescono a farmi andare lontano (ma non troppo) con la fantasia… sarà per questo che sono finita a voler occuparmi di cinema? Ho uno strano debole per i classici dell’Ottocento francese e del Novecento italiano ma non sono la tipica snob che tira dritto davanti alle nuove uscite.

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Marco Maurotti

    Un libro che fa il pari con il Fenoglio più romantico, ma ugualmente attento al “realismo”poco “magico” dell’antifascismo italiano. Un romanzo popolare che tu recensisci con tenerezza nonostante il critico neorealismo visuto nella nostra strana grande famiglia italiana un po’smemorata sui valori fondanti e fondamentali. Da rileggere. Grazie per la voglia che mi hai trasmesso.

    1. Laura Perrotti

      Grazie per il tuo bel commento. Sono contenta di averti trasmesso la voglia di rileggere questo libro; è esattamente il messaggio che vogliamo dare con le recensioni in Dissaclassici.

Lascia un commento