Luigi Pirandello è un autore che prima o poi ti troverai ad approcciare durante gli anni scolastici, solitamente con Il fu Mattia Pascal, come ci racconta anche Nello nella sua top ten dedicata alle migliori novelle dell’autore trinacrio. Il mio è stato invece L’esclusa, il primo romanzo, pubblicato nel 1901, dapprima a puntate sul quotidiano La Tribuna di Roma; rivisto e ripubblicato in volume nel 1908 con l’editore Treves, nel 1927 trova la sua veste definitiva.
Probabilmente la mia professoressa pensava che una protagonista femminile avrebbe sicuramente catturato maggior interesse in una classe di sole donne. Ipotesi molto semplicistica ma possibile, visto che le mie compagne di classe utilizzavano un libro come appoggio per mettersi lo smalto durante le lezioni. Mettete da parte i forconi, buoni.
A distanza di quasi quindici anni mi ritrovo a riprenderlo perché è un romanzo che sicuramente può essere ancora attuale. La scrittura dimostra sempre la freschezza, Pirandello parla a tutti i lettori, non potrai mai trovarlo ostico e prolisso.
Paesino della Sicilia, pettegolezzi, ipocrisia piccolo-borghese, pochezza culturale sono lo sfondo dove vive la giovane Marta Ajala, cacciata dal marito, Rocco Pentàgora, per un adulterio mai commesso.
La protagonista de L’esclusa intrattiene uno scambio epistolare con l’avvocato Gregorio Alvignani, noto in paese e futuro deputato. Marta sperimenta l’impossibilità di poter instaurare relazioni interpersonali anche di tipo intellettuale con un altro uomo. È costretta a vestire i panni di moglie e futura madre senza poter tendere verso una autonomia, identità singola, essere Marta e non semplicemente la coniuge. È costretta a dover interrompere gli studi perché la famiglia riteneva fosse giusto per lei prendere marito. Nel libro non viene specificata l’età precisa, ma si presuppone avesse passato sicuramente i vent’anni. Una zitellona, quindi.
Persino il padre della protagonista non accetta questa accusa, vede la sua famiglia come macchiata per sempre e ritiene che ormai non ci sia alcuna ragione per rivolgere più la parola al sangue del suo sangue e piuttosto lasciarsi morire in stanza mandando alle ortiche la conceria, l’unica fonte di reddito del nucleo famigliare. La madre della giovane prova a giustificare la ragazza dicendo che può aver commesso, al massimo, una leggerezza e non un alto tradimento. Per il padre l’aver permesso alla figlia di studiare era stato solo un errore. Preferisco non sciogliere la lingua ma limitarmi a dire che purtroppo questa ottusità è ancora presente.
Il giudizio è l’unico fattore che influenza il comportamento delle persone. Pirandello batte spesso su questa mancanza di libertà, l’inettitudine umana che caratterizza la letteratura del ‘900 (vi dice qualcosa Zeno Cosini?!).
Rocco Pentàgora preferisce seguire la volontà del padre piuttosto che diventare attore attivo della sua storia. Per lui è chiaro che non ci sia stato davvero un amore consumato tra la moglie e l’Alvignani ma deve dimostrare di essere l’uomo forte e non il marito ferito che perdona. Le corna per i Pentàgora sono una tradizione di famiglia (presunte e mai vere, naturalmente) e non stanno bene su tutto. Troppo inetto per ribellarsi alle convenzioni sociali.
Marta sarà costretta a dover indossare la figura di fedifraga. La protagonista è anche circondata dai lutti, nella stessa sera perde il figlio e il padre. Piove sempre sul bagnato, non c’è due senza tre, abbiamo fatto 30 facciamo 31. Lo so che i detti abbassano il livello linguistico, però è riduttivo dire “povera Marta che ha Saturno contro”, e non posso utilizzare espressioni colorite altrimenti Google mi censura e mi abbassa l’engagement.
L’Esclusa della narrazione non trova conforto nemmeno nella preghiera perché lei non è colpevole di nulla; in occasione della festa patronale, durante la processione di San Cosimo e Damiano, la folla si scaglia con ferocia davanti all’abitazione degli Ajala.
L’unica cosa è reagire contro il fango e risollevarsi, con le sue forze. Lo studio e la lettura sono sempre le migliori cure, perché guariscono l’animo; vince il concorso per diventare maestra ma dopo una breve supplenza, in cui viene boicottata ripetutamente da famiglie e docenti viscide, ottiene il trasferimento in un collegio di Palermo. L’attività di famiglia è stata mandata in malora dal cugino e lei decide di trasferirsi nel capoluogo, portando con sé madre e sorella. Nulla le trattiene a restare, nemmeno il marito che le propone di passarle del denaro ogni mese di nascosto, in modo da non dover far vedere ai cittadini che una donna si mantiene da sola.
Qui abbiamo il primo vero riscatto di Marta, poter contare su sé stessa e riuscire a prendersi cura delle persone a lei più care, le uniche che non l’hanno additata ma sostenuta, andando contro il volere del capofamiglia. È una donna intelligente e colta, il suo dito medio alzato è dimostrare di potersi mantenere grazie ai suoi studi senza il bisogno di un marito senza spina dorsale.
A Palermo Marta rifiorisce, ma viene presto insidiata dai tre professori del collegio, in particolar modo dal folle Falcone, pedinata dal marito, furioso per la sua fuga e certo che lei si trovi a Palermo per l’Alvignani che si trova nel capoluogo siciliano per motivi di lavoro, e per rivedere Marta, è chiaro.
«Vedeva intanto la madre e la sorella ritornate alle abitudini, alla calma d’una volta, alla vita semplice e tranquilla di prima; e maggiormente, per forza di contrasto, sentiva penetrarsi dal convincimento che lei sola era esclusa, lei sola non avrebbe più ritrovato il suo posto, checché facesse; per lei sola non sarebbe più ritornata la vita d’un tempo. Altra vita: altro cammino…La pace, la felicità dei suoi, lo studio, la scuola, le alunne: ecco quello che le restava, ecco la meta del nuovo cammino… null’altro!»
La protagonista del romanzo L’Esclusa non è ancora pronta per essere l’eroina postmoderna per cui abbiamo tifato noi lettori. Fare il grande salto fa veramente paura, la solitudine non aiuta e nemmeno la scarsa autostima. Prova troppo dolore ed è stanca di lottare. Le sembra quasi di scontrarsi con dei mulini a vento, purtroppo. Il romanzo è del primo Novecento, per quanto Pirandello sperimentasse molto nelle sue produzioni, soprattutto quelle teatrali, voleva restituire ai lettori un ritratto il più possibile reale della Sicilia dell’epoca e non il giusto lieto fine voluto dai lettori.
Gregorio Alvignani, carismatico e colto, la convince a vivere il presente e dunque lei si concede al seduttore, nonostante non ci fosse nessun tipo di trasporto. Le sembrava il copione che doveva far suo e interpretarlo. Diventa sua, senza alcuna volontà. La gravidanza indesiderata tra i due amanti la porterà ad essere nuovamente ributtata tra le braccia del marito Rocco, pronto a riaprire le porte di casa a causa del pentimento. L’avvocato le propone di andare con sé e di trasferirsi a Roma con lui, ma sa bene che a Marta, non potendo ottenere la libertà grazie ad una morte prematura dal marito, si prospetta una vita da donna giudicata. L’amante se ne lava le mani e sparisce di scena. Il suicidio viene preso in considerazione ma non raggiunge compimento.
Il romanzo si conclude con Marta e Rocco che si riconciliano, al capezzale del cadavere di Fana Pentàgora, vittima della spinta che influenza tutti i personaggi dell’Esclusa.
La confessione del tradimento per cui era stata ingiustamente accusata nella prima parte, la riconduce in società, reinterpretando il ruolo di moglie di Rocco Pentàgora. L’inettitudine umana è protagonista e vincitrice indiscussa.