Le divoratrici – Lara Williams : recensione

Le divoratrici di Lara Williams è un libro il cui acquisto è stato veicolato dal caso e dalla curiosità. Più che dalla grossa scritta in rosa “Il fight club femminista” firmata dal The Guardian, ad avere la mia curiosità è stato il trafiletto che accomunava la voce di Lara Williams a quella di Sally Rooney.

È vero, i romanzi di Sally Rooney, soprattutto, a mio avviso, Personale Normali danno voce a protagonisti che non conoscono il loro posto nel mondo ma sono determinati a trovarlo.

Ne Le divoratrici di Lara Williams però la questione si fa più complessa. Roberta, la protagonista, deve affrontare il mondo, separarsi dal rassicurante nido materno, da un paesino dove la vita scorre in maniera piuttosto tranquilla e approdare all’università.

Una grande città sconosciuta, una vita che non prenderà la piega che da sempre Roberta si aspettava. All’interno del libro, dove si susseguono narrazioni al presente e numerosi flashback, Roberta ricorderà sempre con dispiacere gli anni della sua vita universitaria.

Roberta è una donna interessante, una donna normale che si ritrova a fare i conti con una vita che delude le sue aspettative. I due punti focali del libro sono sicuramente il rapporto che lei ha con sé stessa e quello che ha con gli uomini.

All’università, privata di una vita sociale, ritrovarsi a dover fare i conti con il proprio io e con le difficoltà, che non si aspettava, nel creare dei nuovi legami, dei rapporti d’amicizia, Roberta scopre la cucina.

Il piacere della cucina, del buon cibo, di brasare, delle zuppe, delle cotture lente, delle lievitazioni tenute al caldo sotto al suo letto, in un posto segreto, dove si cela tutto lo stare bene al mondo.

Eppure, forse per il retaggio di essere cresciuta con sole donne, a Roberta manca l’esperienza, l’esperienza con l’altro sesso, con gli uomini. Dall’essere una normale diciannovenne che sogna ad occhi aperti le sue prime esperienze sessuali, seduta in biblioteca o fissando il soffitto della sua stanza, si ritrova ad essere vittima. Vittima di quelle stesse fantasie che si sono tramutate in una realtà da incubo.

Roberta che si addormenta davanti ad un film tra le braccia di un ragazzo e si risveglia sentendolo dentro di lei, con le sue mani sul seno, e la precisa sensazione di non voler assolutamente prendervi parte. Schiacciata dal peso di un corpo, la sua mano sulla gola che quasi la soffoca.

Potremmo pensare che la colpa sia sua, seguire una persona che si conosce da poco, addormentarsi così, con piena fiducia. Invece non è così, la colpa sta solo da un lato e non è quello di Roberta. Perché a nessuna persona cosciente e incosciente dovrebbe essere fatta una simile violazione. Un corpo non è un oggetto. Potresti anche aver rimorchiato al solo fine ultimo dell’attività sessuale, ma deve essere un’attività consenziente. Il consenso non si esprime semplicemente accettando un appuntamento, accettando di salire per un film. Un corpo che non ci appartiene è un limite che non dovremmo superare.

Quel corpo, usato come se non appartenesse a nessuno, comincia a sembrare estraneo anche a lei, non c’è più gioia nel nutrirlo, non c’è più gioia nascosta a lievitare sotto il letto. C’è solo il vuoto, le pareti di una stanza che si stringono. Roberta fa della sua nuova magrezza la sua arma contro il mondo, un mondo che le sfugge e non riesce a controllare.

Mette tutto quello che resta di sé stessa in una relazione tossica in cui diventa sempre più sottile, Roberta sta sparendo, senza accorgersene, alla ricerca di quell’amore, di quella stabilità che le è stata portata via. Arriva anche a farsi del male, a saltare da una finestra con cieca obbedienza, soffocando la voce razionale del cervello che già prevedeva l’esito disastroso. Perché? Perché Roberta non si basta; e d’altronde come può se a mala pena vive, se ha soppresso ogni senso di fame…

La laureata che lascia l’università non è certamente la ragazza piena di sogni di vita che vi è entrata. È qualcosa che ha deciso di vivere senza farsi notare, mettendo il pilota automatico e accontentandosi solo di quello che le si para davanti. Roberta vive ancora tra le pareti della sua stanza allo studentato sebbene lo abbia lasciato da un po’. Ma se non chiudi a chiave la porta qualcuno trova sempre il modo di entrare. Non è il cavaliere in armatura scintillante che cancellerà tutti i mali pregressi, ma qualcuno che ti somiglia molto.

Stevie entra dalla porta lasciata aperta da Roberta e le si siede accanto. Finalmente Roberta trova quel rapporto di amicizia fatto a posta per lei, che all’università aveva sempre cercato ma che non aveva mai individuato.

La naturale sintonia che si instaura tra le due donne le porterà a cominciare una convivenza. Il rapporto tra Stevie e Roberta è quella che potremmo definire una “Sismance” derivato dell’unione delle parole sister e romance di cui è ovviamente più noto il maschile BROMANCE (this is a man’s world), però si, esiste anche il femminile!

È durante questa convivenza tra due donne molto diverse che Roberta ritrova il piacere di cucinare, ritrova la sua fame, la voglia di nutrire un gruppo, di cucinare per qualcuno ed è così che scatta il Supper Club, il club della cena.

All’interno de Le divoratrici di Lara William, la fame diventa veicolo di rinascita, come un sentimento primordiale che ti riporta alla vita, all’affermazione del tuo essere. Il Supper Club riunisce donne dalle più disparate esperienze di vita, e prova a dargliene un assaggio esagerato, di quella vita. Quella vita spesso vissuta sotto tono e con la preoccupazione di non farsi notare, di non farsi giudicare.

Il Supper è rivoluzionario e spregiudicato, ai limiti dell’insensatezza, eppure le donne del club sono guardate con invidia e ammirazione dalle altre che non vi fanno parte.

Mangiare, riprendere peso, esagerare, riconquistare il proprio corpo, il diritto a viverlo. Affermare il proprio peso, il proprio spazio nel mondo, nella società. La libertà di essere felici, tristi, stanche, grasse, magre, eccessive, esuberanti, pericolose ed essere comunque amate ed accettate. Non dover mai più essere più pacata, ridere meno, abbassare il tono, fingere di essere qualcun altro davanti ad uomo.

Perché in fondo è di questo che si parla, di uomini e di donne, di diversità. Il Supper non è un club nato per durare in eterno, sia Roberta che Stevie ne percepiscono l’imminente fine. Eppure ancora una volta Roberta deve fare una scelta, tra una relazione amorosa con uomo e la sua sismance con Stevie. È una scelta sofferta che avverrà solo dopo la liberazione finale dei mali più grandi che entrambe le donne si portano nell’animo.

Lara Williams racconta una storia di stupende sopravvissute, di donne coraggiose che decidono di riprendersi la vita a morsi esorcizzando il male interiore attraverso il sentimento più attivo e primitivo: la fame. Lara ci insegna l’equilibrio all’interno dell’essere umano. Mostrandoci gli eccessi del digiuno e quelli delle abbuffate attraverso gli occhi di Roberta nei cui difetti ogni donna può ritrovare un po’ di sé.

Nutrire, nutrirsi, essere vivi è un’ esperienza da vivere, non da subire. Ogni donna dovrebbe accettare un invito a cena dal Supper Club.

Oriana D'Apote

Oriana D'Apote classe ’93 un pendolo che oscilla tra la Puglia e l’Abruzzo. La mia prima natura è quella di ascoltatrice di storie, con l'animo inquieto sempre alla ricerca di qualcosa, il dettaglio, la poesia. Sogno di acquistare centinaia di fiabe illustrate, leggo storie crude. Vivo come il protagonista di un noir a colori dove alla fine prenderò il cattivo, risolverò il caso.

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