Le buone maniere di Daniel Cuello ci porta in una nazione guidata da un regime dittatoriale dove i personaggi principali lavorano nell’ufficio 84, revisione dei testi, controllo censura. Molto lontano dall’ufficio della Dunder Mifflin e con un capo meno carismatico di Steve Carell.
Teo Salsola è il nuovo capoufficio e tutti i suoi dipendenti rispecchiano lo stereotipo dell’impiegato statale: fannulloni e chiacchieroni, meschini e sleali, quadrati per il lavoro; tutto questo senza rendersi conto che le situazioni sono sempre soggettive e diverse di volta in volta. La quota di esauriti che sembrano come fantasmi è destinata a salire.
Lui semplicemente non si dimostra subito adatto nel ricoprire il ruolo di leader: testa bassa, timore nell’assegnare compiti e notificare errori, vulnerabile; per quanto possa mantenere segretati i suoi file personali, alcuni collaboratori, ben inseriti, approfittano delle informazioni apprese per costituire sempre di più un clima ostile in ufficio.
Nel protagonista di Le buone maniere vediamo un’anima persa tra i ricordi e traumi legati alla sua infanzia, insicurezze mai superate e paura di relazionarsi davvero in un mondo esterno. Prevale un senso di solitudine che lo spingerà a continuare a cercare l’approvazione della zia, l’unica figura familiare che gli ha fatto da guida.
Man mano, nel corso della vicenda di Le buone maniere prevale un senso di ribellione, di rifiuto al voler continuare ad accettare il vademecum del partito, lo svincolarsi da timbri identificativi per le pratiche e telefoni che squillano.
Teo, nell’arco di vent’anni, spronato dalla visita di uno dei pochi amici avuti (e sparito perché sovversivo), decide di riprendere in mano la sua vita. Non accetta a capo chino il prepensionamento dei suoi collaboratori e incita ad una reazione, una ribellione. Nella seconda parte si sprigionano tutti i sentimenti repressi per una vita dal protagonista: rabbia, senso di vergogna e abbandono, difficoltà nell’accettazione sempre e comunque di ciò che viene imposto dai “poteri forti”.
Mi viene da pensare che non si possa considerare nemmeno un graphic novel così distopico, ma molto più vicino alla realtà che viviamo oggi. Sicuramente non ci troviamo in una puntata di Black Mirror e nemmeno in 1984 di Orwell, però l’autore vuole sicuramente spronare a pensare con la propria testa, senza accettare la realtà politica e sociale odierna. Che il romanzo Le buone maniere voglia mostrarci uno spaccato di attualità ridestandoci dagli automatismi acquisiti e mascherati da buone maniere?
In fondo la libertà è un qualcosa che ci fa paura come il trovarsi in una città che non si conosce senza la minima indicazione o punto di riferimento. Però anche lo strappo nel cielo di carta può essere una nuova via da percorrere. E poi la rivoluzione rianima sempre l’anima ribelle di tutti.