Rosella Postorino è una donna molto dolce e sorridente; ho questa immagine di lei perché l’ho conosciuta alla presentazione del suo ultimo libro, Tutti giù per aria, che è un libro per l’infanzia.
Sono rimasta quindi molto colpita da quanta malinconia ci sia in Le assaggiatrici, romanzo del 2018 che le è valso il premio Campiello.
Rosa Sauer è una delle dieci donne che assaggiano i pasti di Adolf Hitler. È uno dei tanti corpi di cui il Führer si è servito per portare avanti la propria battaglia personale.
Ogni mattina Rosa sale su un furgone che la porterà nella tana del lupo; lì mangerà esattamente tutto ciò che sarà servito a Hitler, deve solo pregare di sopravvivere al pasto.
Dieci corpi e dieci anime diverse si siedono dunque al lungo tavolo dove viene allestita la mensa. Qualcuna ha paura, qualcuna no, qualcuna mangia per il bene della propria patria, qualcuna solo per sopravvivere.
Rosa si è ritrovata lì quasi per caso, si è rifugiata a Gross-Partsh, paese natale del marito in guerra, per sfuggire ai bombardamenti su Berlino. La donna entrerà allora in contatto Alfred Ziegler, ufficiale delle SS e comandante della caserma del luogo, con cui intesserà una relazione clandestina a tratti morbosa. L’anima di Rosa è tanto scossa da quello che le sta accadendo con un uomo che non è suo marito da non distinguere più realtà e autosuggestione. Albert è tanto reale di giorno quanto irreale di notte e Rosa si perde come cappuccetto rosso nel bosco.
L’occhio della protagonista è estraneo al mondo rurale e ancora di più alle dinamiche del Reich: questo rende la sua narrazione, per quanto profondamente soggettiva, per molti versi distaccata dal contesto in cui si svolge l’azione.
Il suo sguardo riprende tutto nei minimi dettagli, le dinamiche che si instaurano tra le sue compagne, tra loro e i soldati. La scuola adibita a caserma diventa quindi un microcosmo in cui vita e morte sono decisi da divinità mortali, Ziegler, le SS, il führer o addirittura qualcuno che trama contro di lui e vorrebbe farlo fuori.
Rosa può morire da un momento all’altro, uccisa dalla fame, dal cibo, dai soldati, dalle sue compagne o anche solo dal dolore; le teniamo la mano ogni giorno che passa fino all’amaro epilogo.
La trama di Le assaggiatrici di Rosella Postorino ricorda per molti versi quella di Dolce, la seconda parte di Suite francese di Irene Nemirovsky. Sia Rosa che Lucile sono donne di città che si rifugiano nella casa dei suoceri e che avranno una relazione amorosa con un ufficiale tedesco che non potrà che turbarle. Da entrambe le autrici viene evocata una forte malinconia ma la dolcezza neoclassica della prosa di Nemirovsky, cede il passo alla modernità di Postorino.
Lo stile di scrittura è scarno, fatto di frasi brevi ed essenziali, il periodo sembra sezionato in piccole porzioni come si fa col cibo. Nonostante ciò, l’autrice riesce a tenerci sempre tesi come su di un filo e non tralascia dei momenti di vero pathos.
Le assaggiatrici di Rosella Postorino trasmette al lettore ogni pensiero della sua protagonista; si entra a stretto contatto con i suoi pensieri più intimi, anche quelli che ci portano lontani dal cuore della narrazione. Fa pensare ad un racconto del passato molto intimo o a un lungo monologo interiore.
La storia di Rosa è una storia vera: nel 2014 l’autrice lesse che Margot Wölk, ultima assaggiatrice di Hitler in vita, aveva deciso di rendere pubblica la propria storia. Rosella Postorino avrebbe voluto incontrarla ma non ha fatto in tempo, in compenso ha parlato a noi e ci ha un rapito il cuore per tutto il tempo della lettura.