La voglia dei cazzi – Alessandro Barbero : recensione

Pescando tra i libri letti negli anni passati, spicca un Alessandro Barbero quanto mai insolito, già a partire dal titolo: La voglia dei cazzi e altri fabliaux medievali. Seguivo il professore già nelle sue incursioni durante Superquark, dove era ovviamente amabile come sempre. Sì, anche quando parla di morti ammazzati in modi truculenti, e sempre col sorriso. Quella strana unione di sadismo e bonarietà metteva il buonumore, e lo stesso accade con questo volume.

Urge una precisazione. Il volume è una raccolta di traduzioni di fabliaux, piccole storielle, di cui la prima titola invero La voglia dei cazzi.

I fabliaux sono simpatici racconti in versi che venivano recitati in pubblico, per cui presentavano diverse ripetizioni per rimanere a favor di rima. Nella nota alla traduzione però è lo stesso professor Barbero a esplicitare il tipo di operazione effettuata. Il pubblico di riferimento è, per questo testo, quello contemporaneo e non per forza studioso di filologia romanza. Anche perché alla triennale ho strappato un 25 stiracchiato e la presa di coscienza della scarsa dimestichezza con i Salmi in francese antico.

I brani sono stati poi ammodernati dal traduttore con termini più moderni per rendere l’effetto che sortiva sulle platee dell’epoca: risate e rossori facciali. Le storie hanno un altro denominatore comune, e sono gli argomenti licenziosi. Una grande differenza con i tempi successivi, anche quasi coevi, è la presenza di parolacce. Nel ‘300 francese erano ancora in uso, in letteratura, ma già Boccaccio (1313-1375) in Italia non le usa. Anzi, ci gira attorno, compie lunghe perifrasi per evitare le parole sporche. Bukowski ad esempio lo tratterebbe, per questo motivo, come un coglione. Boccaccio, a sua volta, userebbe almeno un paio di periodi per esprimere lo stesso concetto, nascondendolo.

Ad ogni modo, senza la divisione in versi, i fabliaux assomigliano a lunghe barzellette raccontate bene. Del resto sono i dettagli a fare la differenza. Ma per approfondire il tema vi conviene un salto verso le limpide acque di Campanile. Noi invece rimaniamo nell’allegramente torbido.

Queste storie sono tendenzialmente brevi, fatta eccezione per opere come il Roman de la Rose di oltre 20000 versi. Anche ne La voglia dei cazzi possiamo riscontrare che i venti fabliaux superano raramente le quattro pagine, e ciò le rende perfette per raccontarle. Proprio come all’epoca.

I personaggi sono quelli che ci verrebbero in mente pensando al medioevo: chierici, contadini, donzelle. Ammetto che forse si tratta del mio immaginario, ma non è stato tradito. Leggere l’Orlando furioso e il De bello gallico non mi ha impedito di ammirare pure una cultura pecoreccia del cinema italiano degli anni ’70. Oggi cataloghiamo queste pellicole con l’etichetta di “decamerotici”. Già, perché Boccaccio ha ispirato molti film con nomi lunghi e creativi: La bella Antonia, prima monica e poi dimonia, uno dei primi; Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti – Decameron nº 69 è tra i più affini, al punto da poter inserire nel titolo anche l’opera della terza corona italiana; e poi L’Aretino nei suoi ragionamenti sulle cortigiane, le maritate e… i cornuti contenti. Beh, di quest’ultimo potete leggerne i contenuti QUI, che Aretino ci piace parecchio.

Insomma, inutile ripetervi che le storie sono belle e divertenti nella loro semplicità, straconsigliate. Ma soprattutto, quando proveranno a smontarvi certo cinema nostrano, potrete rispondere che si tratta di una riduzione filmica di brani di letteratura francese medievale. Il fatto che i titoli fossero La signorina che non poteva sentir parlare di scopare, Il vescovo che benedisse la fica o semplicemente La voglia dei cazzi non ne mette in secondo piano l’importanza letteraria.

Per sentirne parlare dalla viva voce del professor Barbero lascio il collegamento all’incontro fatto presso il Festival del Medioevo del 2019, la vita sessuale nel Medioevo.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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