Questo è l’incipit moderno che sta conquistando grande notorietà al pari degli incipit dei grandi classici. E appartiene a La taverna di mezzanotte. Tokyo stories di Yaro Abe. Anche nella serie tv targata Netflix, che porta lo stesso nome, La taverna di mezzanotte. Tokyo stories, apre ogni puntata.
All’interno del libro non apre proprio tutti gli episodi, ma è una formula abbastanza facile da ritrovare. Nel mio caso, è servita bene allo scopo, è bastato il trailer a farmi innamorare, per non dire commuovere (no, no, dico davvero, COMMUOVERE)!
La taverna di mezzanotte è un piccolo ristorante nei vicoli di Shinjuku a Tokyo. Con un menù fisso ed una particolarità, cucinare qualsiasi piatto gli venga chiesto purché abbia tutti gli ingredienti.
Piccola anticipazione, se avete in mente un piatto per il quale serve il pane, dovete munirvene in precedenza. Sembra una seccatura vero? “Mendokuse” ( めんどくせー direbbe un famoso Nara), invece non è così.
Entrando alla Taverna di mezzanotte nessun cliente sembra essere seccato dalle due piccole regole interne, anzi, nell’esiguo locale, sia per i clienti nuovi sia per i clienti abituali, si crea subito una calda atmosfera d’intimità, che, se non è familiare, è quanto meno informale, distesa e rilassata.
La narrazione è divisa in “notti” e ognuna porta il nome di un piatto o di un oggetto ad essa collegato, come ad esempio i würstel rossi, il natto, il katsudon o le bacchette monouso. Le notti contengono singoli episodi avvenuti alla Taverna di mezzanotte, si incentrano su di un singolo protagonista per volta e possono contenere indicazioni che vanno oltre la durata temporale di un’unica notte. Possono essere clienti nuovi, clienti fidelizzati o clienti che diventano abituali per determinati periodo di tempo.
Di questo manga, ma anche della sua trasposizione cinematografica, mi piace tutto. La copertina, con quel suo trafiletto bianco che visivamente lo porta a metà tra un menu ed un libro di cucina. Le prime quattro pagine sono a colori, e devo dire che mi ci ero piacevolmente abituata; poi la storia continua in bianco e nero, canonici all’interno dei manga.
Mi piace l’ambientazione, in un piccolo locale dove, se c’è gente, si mangia gomito a gomito con dei perfetti estranei. Umanità che vengono in contatto, se pensiamo ad una grande città come Tokyo, dove i rapporti sociali non vengono certo facilitati dal tran tran della vita quotidiana; è bello pensare alla Taverna di mezzanotte come ad una piccola oasi di possibilità nella notte cittadina.
Più che il bancone di un locale sembra l’isola della cucina di una casa. Il proprietario, lo chef, con la sua cicatrice sull’occhio sinistro, a metà tra un vecchio samurai e un saggio monaco, dietro al bancone, ascolta, soddisfa e a volte precede le tue richieste.
L’intimo spazio del locale è frequentato da una sacco di persone, tutte diverse, tutte con le loro storie, presenti e passate. Membri di associazioni criminali, pensionati del quartiere, gestori di altri locali, hostess, spogliarelliste, numerosi pornoattori ed anche degli stranieri (esattamente come l’italiano ospite nella notte intitolata Napolitan, anche io ho scoperto solo allora gli spaghetti Napolitan). Anche nei disegni esiste grande eterogeneità. Una caratteristica che mi piace è proprio la semplicità dei volti, delle caratteristiche fisiche, che rendono molto reale la narrazione. Quasi come se fosse stato Yaro Abe ad ispirarsi agli attori di Netflix per il suo volume e non il contrario.
Uno degli argomenti più sdoganati è sicuramente la sessualità, soprattutto nei confronti delle donne: tra le numerose celebrità che succedute nel locale, i pornoattori e le pornoattrici raccolgono il medesimo rispetto ed entusiasmo. E se capitava che una donna venisse giudicata da un’altra donna era solo perché si era fidanzata prima di lei.
La versione giapponese delle zitelle un po’acide sono sicuramente le Ochazuke sisters ma anche loro non mancano certo di un risvolto positivo.
Le storie sono molto varie, come d’altronde ci si aspetterebbe da una città grande come Tokyo, e non tutte hanno finali positivi; ma d’altronde si sa, nelle narrazioni giapponesi vi sta sempre bene una lacrimuccia, anche le lacrime fanno parte della vita, così come la gioia.
Se non lo avete ancora letto, o non lo avete ancora visto, vi invito a fare un salto a Tokyo dove “esiste un angolo di tranquillità da cui tutti escono col sorriso sulle labbra, sazi nello stomaco e nell’anima.”