Letizia Vicidomini crea una rete importante di piccole e grandi realtà ne La ragazzina ragno, il suo nuovo giallo edito da Mursia. I personaggi del romanzo escono dalle pagine più vivi che mai, anche quando ormai non lo sono più. La prima cosa che mi ha colpito è che per il primo terzo del testo quasi non sembra di leggere un giallo, bensì letteratura bianca. Le indagini psicologiche iniziali fanno visualizzare gli attori delle vicende come se stessero tra noi, ed in effetti è proprio così.
Maya è la ragazzina ragno, ed è evidente la sua capacità di intessere tele su chiunque si trovi sul suo cammino. Lo fa coi genitori, col fratello, con le amiche, persino coi semplici conoscenti. E alla fine rapisce anche noi, che vogliamo seguirne tutte le vicende connesse. È una di quelle persone che riesce a stregare chi vuole, a render succubi uomini e donne, e tutti ne vengono sottomessi.
Col suo (odiosissimo) ragazzo organizza un giro in cui partecipano diverse sue amiche nel vendere il corpo sul web. I singoli tasselli che si aggiungono man mano nella storia riportano un enorme mosaico in cui si aggiungono successivamente le indagini di Andrea Martino – ex commissario di polizia – e sua nipote Anna (appassionata di criminologia).
Anna e Andrea affrontano la reticenza che spesso si incontra in una città retta da piccoli e incostanti equilibri, e provano a raccogliere i piccoli frammenti d’ossa lasciati dagli scheletri d’armadio di chi ruota attorno a Maya. I silenzi si alternano tra voluti e naturali, come quelli di uno dei personaggi che più mi hanno attratto fin dall’inizio; Demetrio, detto Demo, è muto. Per questo motivo si affida molto all’udito e, come un moderno vaso di Pandora, racchiude i mali nascosti dei suoi vicini.
Letizia Vicidomini dona a Demetrio le pagine più profonde, capitoli in corsivo dove entra nei suoi ragionamenti gridati silenziosamente (e anche nella sua mente ha fatto breccia la magia della ragazzina ragno).
L’autrice mi costringe però a scrivere una di quelle frasi che, da napoletano, ho sempre odiato: “Anche Napoli è un personaggio che vive nel libro”. Penso di averla letta almeno un centinaio di volte. Ci tengo a precisare che però in questo libro succede davvero, ma non si tratta di una Napoli “personaggio”; è davvero una città viva, al pari di quella d’epoca che troviamo ad esempio in De Giovanni. Gli stereotipi ci sono solamente quando corrispondono a realtà, e forse anche Vicidomini sa infondere scie magiche nelle parole. Certe descrizioni mi hanno catapultato tra i ricordi di quando ero un ragazzino, a casa dai nonni, e giuro di aver sentito l’odore del mare misto a una patina di frittura che ormai non ricordavo più.
Napoli rivive anche tra i dialoghi, nei detti locali che riassumono o semplicemente servono a chiudere discorsi quando manca la voglia di proseguire, dal “Senza denare nun se cantano messe” fino a “O cummanna’ è meglio d’’o fottere”. In verità ci sono pochi frammenti dialettali, ma dosati così bene da permettere alla “voce nella mente” di leggere con cadenza partenopea.
Lo stile di Letizia Vicidomini è fresco e immediato, e il ritmo è sostenuto sia per gli eventi, sia per i capitoli brevi che spingono a leggere La ragazzina ragno d’un fiato.
Il romanzo è quanto mai attuale nei temi indagati, oltre Patreon e OnlyFans, e vorrei parlarvene ancor di più se solo non rischiassi il linciaggio per la quantità di spoiler che potrei fare (non il massimo, quando si parla di gialli).
Letizia Vicidomini, oltre alla carriera da scrittrice, è speaker radiofonica. Vi invito a seguirla anche solo per farvi immaginare una versione audiolibro de La ragazzina ragno, che sarebbe davvero pazzesca. O magica, come dicevamo.