Dopo aver conosciuto Mario Ferrari come poeta e traduttore, con La Pentecoste del santo assassino possiamo leggere il suo primo romanzo. L’autore entra nel distopico apocalittico, dove il mondo segue il suo destino verso l’esplosione di una bomba atomica ben ragionata dall’alto. Il Movimento per la Resurrezione Atomica ha creato una testata chiamata simbolicamente Pentecoste, ovvero lo Spirito, la Potenza Divina, e questa forza diventerà il corrispettivo del Diluvio Universale.
La Terra è fin troppo popolata, e tanti mancano di quella fedeltà che farebbe propriamente parte delle qualità dei cristiani. Ma se l’Altissimo ha fatto sì che la mente umana potesse inventare la bomba atomica, allora anche lei rientrerà nel progetto divino. È il Papa a dire nel testo:
“Anche la bomba atomica deve essere per forza, se non un dono del demonio, un dono di Dio. Soltanto, che non ne abbiamo capito da subito la portanza teologica. Queste sagome di ragionamento avvieranno soltanto la catarsi, il complimento. Se Dio ci ha dato il diritto di pensare in termini tecnologici, e di arrivare a pensare alla catastrofe, attraverso questi nuovi strumenti di annichilimento collettivo, allora significa che dobbiamo credere di poterli utilizzare per l’estremo. Anche nel sacrificio. È nuovo il concetto di resurrezione, che sussumo.”
La forma può richiamare alla favola morale, dove i personaggi sono tipizzati – dal Presidente al Papa al Maggiore. Un solo nome compare in La Pentecoste del santo assassino, Amleto. L’uomo del ragionamento, del dilemma, un nome che parla da sé; capiamo già che, mentre da un lato tutti assurgono al proprio ruolo (quasi) ciecamente, dall’altro c’è l’unica persona che sente pulsare il Dubbio.
Amleto è l’uomo prescelto per attivare il detonatore della Pentecoste. È già designato come Santo, nel futuro ci sarà sant’Amleto, eppure lui nota che qualcosa stride nell’unione tra questo discorso e quello biblico. Una parte si salverà, come se ci fosse una nuova Arca, ma stavolta interverranno dei marcatori. Da un lato i “The Best”, dall’altro i “the rest”; un messaggio di divisione anziché di unione. Non posso svelare successivi dettagli, ma il testo si sviluppa in poco più di cento pagine e quindi lascio a voi la scoperta delle svolte.
Entriamo tra le pieghe della scrittura di La Pentecoste del santo assassino: ho apprezzato molto l’imitazione dei testi solenni, quasi biblici, con le loro iterazioni di formule e parole. Verso il finale, però, la caratteristica rischia di appesantire il linguaggio. Qualche problema c’è nella punteggiatura, che anche in questo caso immagino imiti la resa degli scritti di altro carattere, casomai addirittura mutuati da una scriptio continua, ma avrei preferito una maggior normalizzazione.
In ogni caso, già solo per la vicinanza a autori come Guido Morselli finisce per convincermi, perché certi specchi sulla società andrebbero sempre proposti.