Anch’io, come con molta probabilità sarà successo a voi, ho letto La coscienza di Zeno l’estate come compito per le vacanze. È tra i libri più assegnati e, sarò di parte, a buona ragione. Mi è entrato nella pelle, oltre che nei polmoni (fumavo 3-4 sigarette a settimana, a fine lettura ero passato a un pacchetto da dieci).
Italo Svevo inventa, con la sua narrativa, il personaggio dell’inetto. Anche Una vita e Senilità presentano un protagonista votato all’inettitudine nei confronti della vita, ma qui c’è una enorme novità: il malato trova la cura; la risposta ai mali dell’esistenza è l’umorismo, tratteggiato in tanti modi diversi nel corso del romanzo.
E pensare che sono diversi gli elementi che Zeno Cosini riconosce come sani, dall’avere una famiglia a un rapporto soddisfacente col padre, fino all’avere un’amante e un lavoro. Lo so, sembra strano, ma anche l’amante faceva parte delle cose necessarie per sentirsi completi a inizio secolo scorso (e anche nei secoli passati). Lo scetticismo verso la nuova scienza medica, la psicanalisi, è a sua volta una sfaccettatura di questa malattia, l’inettitudine, strano modo di vivere che cristallizza l’essere in una crisalide di goffaggine e situazioni grottesche che ne derivano.
Ormai tutte queste caratteristiche ci sembrano scontate, eppure è uno dei primissimi esempi della letteratura a persistere nell’evitare ogni via che possa portare all’eroismo. È una tale novità che non vuole pubblicarlo nessuno. Veniva, del resto, da due begli insuccessi. Solo James Joyce ormai lo incoraggiava a scrivere, quindi aveva una scarsa utenza che però aveva un engagement altissimo.
La maschera dell’inetto diventa poi trasposta da tanti autori, e per me il picco viene raggiunto da Fantozzi: Calboni è palesemente Guido Speier, tanto per dirne una. La natura episodica influisce sulla costruzione, infatti i capitoli sono tematici e non seguono lo scorrere della storia. Ma buttiamoci a capofitto tra le pagine di La coscienza di Zeno, perché con molta probabilità siete qui perché ci sarà un’interrogazione in tempi brevi – verosimilmente potreste averla anche la prossima ora.
1. Prefazione
Fin da subito Svevo include l’ironia nel romanzo. Non è però la stessa di Zeno Cosini, perché a “scrivere” è il dottor S., uno psicanalista che poco ha da spartire con la sua materia di studio. Dov’è il segreto professionale? Qualche professore potrebbe passare ore a parlare del dramma etico consumato già nella prima pagina del testo, ma non preoccupatevi: a Svevo poco importava. Questa è una sardonica risposta alla scienza nascente, ancora imperfetta e, con gli occhi dell’epoca, alla moda. I grandi scrittori però non seguono le mode o quantomeno provano a sovvertire il sentir comune. In quella “S.” è nascosto Sigmund Freud? Sembra la via più probabile, ma è spesso citato anche il freudiano Edoardo Weiss, il fondatore della Società Psicoanalitica Italiana.
Zeno guarirà indipendentemente dal lavoro del dottore, e la stessa pubblicazione delle confessioni non porteranno a risultati medici sperati. Diventa allora maggiore l’importanza di questa pagina d’esordio: l’attacco infido a un povero inetto, da parte di chi non è considerato tale dalla società, sarà l’esplosione di una bolla di sapone dal punto di vista sanitario. È il primo inetto sveviano a “vincere” le sfide del mondo.
2. Preambolo
Altro capitolo breve, due semplici pagine, ma a parlare è il protagonista Zeno Cosini. Irridere il proprio interlocutore non dev’essere il massimo, specialmente in apertura di discorso. Eppure è così che Zeno inizia il percorso che lo porterà infine alla propria risoluzione.
Dapprima percepiamo l’idea sulla materia, “facile ma noiosa”, come dall’impressione iniziale relativa alla lettura di un testo teorico. La presa in giro sul ricordo, sul rivangare attimi del passato forse necessari a ricostruire traumi passati, è palese. Il tessuto onirico si sfalda velocemente come il racconto, che si chiude dopo poco.
E intanto, inconscio, vai investigando il tuo piccolo organismo alla ricerca del piacere e le tue scoperte deliziose ti avvieranno al dolore e alla malattia cui sarai spinto anche da coloro che non lo vorrebbero. Come fare? È impossibile tutelare la tua culla. Nel tuo seno – fantolino! – si va facendo una combinazione misteriosa. Ogni minuto che passa vi getta un reagente. Troppe probabilità di malattia vi sono per te, perché non tutti i tuoi minuti possono essere puri.
Insomma, per la psicanalisi, se esisti, sei malato. A ben vedere, anche se non esisti. Tanto più esistono gli altri, la psiche si complica. Non è un buon inizio, in generale, ma lo è per La coscienza di Zeno.
3. Il fumo
Questo è il capitolo più conosciuto; la sua rilevanza è evidente, perché chiarisce la base su cui Zeno Cosini deve lavorare: al proposito non corrisponde l’azione. La vita del protagonista è costellata di ultime sigarette. Tutti i fumatori usano la sigaretta come punto fermo tra le azioni. Mi spiego: “fumo questa ed esco”; “sono arrivato in anticipo, mi accendo una sigaretta per ingannare il tempo”; “se hai buttato ora la pasta riesco almeno a fumarmene una!”. Potrei andare avanti per ore, così come Svevo lo fa per trecento preziosissime pagine del Novecento. Zeno prova a smettere unendo l’ultima sigaretta a eventi più o meno importanti, Tra le motivazioni ci sono persino le date che suonano bene.
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po’più lontano.
Tra i vari motivi per cui ho iniziato a fumare c’è La coscienza di Zeno; potremmo quasi pubblicare a parte questo capitolo come una breve filosofia del fumatore, ma l’umorismo ne impedirebbe la forma simil-trattatistica. Addirittura il segmento relativo alla clinica per smettere di fumare si avvicina al grottesco di Gogol’. Dalla stessa matrice derivano anche i racconti di Fantozzi, ed è interessante notare quanto siano lontani eppure vicini i due componimenti.
4. La morte di mio padre
È dal padre che Zeno prende il vizio del fumo, quel genitore con cui le opinioni erano così lontane. Su questo penso al rapporto tra il Perozzi e il figlio in Amici miei, ma a parti invertite: il senso dell’umorismo non può distribuirsi equamente in una famiglia. Il padre di Zeno è un uomo serio, che mal digerisce la costante voglia di trovare il lato divertente delle cose nella propria progenie. Per questo mette il figlio sotto la tutela di Olivi per le pratiche di lavoro. Il nostro protagonista è in più un procrastinatore seriale, mentre il papà è pratico e ben avviato nella propria attività economica. QUI un frammento di capolavoro, ma mi riferisco soprattutto ai trenta secondi finali.
Il lutto è un tema importante della letteratura e della psicanalisi, quindi era immancabile la trattazione (specie se legata a uno dei genitori). Il commiato è spesso centrale, e Italo Svevo non è esente dal proporlo ma a modo suo. In un ultimo sussulto il padre colpisce inavvertitamente la guancia di Zeno, come se fosse un ultimo schiaffo. Ottimo materiale su cui passare ore su di un lettino di uno psicologo, e infatti.
Alla prima lettura non avevo dato importanza all’astio nei confronti del dottore. Legavo lo sfogo contro il medico al boom di sentimenti contrastanti che possono nascere in situazioni così particolari. Qualche anno fa l’avrei invece relegato tra le opere satiriche contro le categorie privilegiate, come facevano già i latini o addirittura Petrarca tra le lettere. Trovo invece che queste pagine rappresentino una spia importante dell’incapacità di comprendere la vita e i suoi meccanismi, un’altra sfaccettatura di inettitudine.
5. La storia del mio matrimonio
Qui si spaccano in tanti. I romantici trovano insopportabile il giro di scelte per la donna che l’accompagnerà al suo fianco. Zeno sceglie prima di tutto la famiglia di provenienza. Chiariamo: non è un fatto relativo alla convenienza, ovvero la scelta non è guidata dall’interesse dello stare in casa di Giovanni Malfenti, ottimo uomo d’affari. O meglio, non cerca i soldi o un appoggio nel proprio lavoro, bensì una figura paterna da stimare. Scoperta la ricca prole di quattro figlie, decide di coltivare in modo sistematico casa Malfenti.
Ecco che delle quattro fanciulle della stessa iniziale una ne moriva in quanto mi riguardava. Come avevano fatto a dirla bella? La prima cosa che in lei si osservava era lo strabismo tanto forte che, ripensando a lei dopo di non averla vista per qualche tempo, la personificava tutta. Aveva poi dei capelli non molto abbondanti, biondi, ma di un colore fosco privo di luce e la figura intera non disgraziata, pure un po’grossa per quell’età. Nei pochi istanti in cui restai solo pensai: “Se le altre tre somigliano a questa!..”
Questa è Augusta. Poi c’è la piccola Anna di otto anni, la bella ma diciassettenne Alberta, infine la bellissima Ada. Punterà all’ultima, sposerà la prima. Il colpo di grazia arriva però con Guido Speier, giovane rampante che sarà sempre migliore rispetto al protagonista; fa discorsi interessanti, suona il violino con gran bravura, ha denti bianchi e perfetti, oscura Zeno in ogni caso.
Oggi prenderebbe le pieghe di uno stalker, per certi versi. È realmente ossessionato. Particolarmente amara è la confessione di Augusta, che sa benissimo dell’amore a senso unico della relazione. E si stanno sposando. In un frangente addirittura pensa alla bellezza della signora Malfenti, e quasi immaginavo un finale alla Rocco Papaleo in Oggi sono emozionato. Lo so, non ringraziatemi.
Tra le sequenze più note c’è la seduta spiritica con Guido al comando. Il signor Cosini si diverte a cambiare le carte in tavola fingendo colpi di fantasma; l’episodio è succulento, ricco di dettagli, di difficile scrittura eppure sempre scorrevole. Qui Zeno irride anche l’opposto della scienza, da lui tanto dileggiata: un vero Bastian contrario.
6. La moglie e l’amante
Nell’esordio del capitolo leggiamo di Zeno che riconosce l’amore per la moglie; perfetta, quindi, la dicotomia con il titolo. Avere l’amante è quasi un passaggio fondamentale per essere sano come gli altri: Giovanni Malfenti ad esempio è libero in questo senso, con la moglie che sorride per le fugaci evasioni del consorte.
La prescelta è la signorina Carla Gerco, a cui il protagonista faceva beneficenza. In occasione di una spesa più cospicua, un pianoforte, vogliono ringraziare il benefattore. Nel giro di poco, con la scusa delle lezioni di musica, Zeno entra in casa Gerco e in Carla. Come sempre in questo tipo di relazioni, lei è convinta che l’amante non provi nulla per la moglie. Le dinamiche sono iperrealistiche, anche nella fine della storia amorosa dove il nuovo insegnante prende il posto del Cosini.
Nell’intreccio sappiamo della tendenza a fare il marpione da parte di Guido Speier (con una domestica), tendenza approfondita meglio più avanti. Qui c’è anche il secondo lutto importante per Zeno, il suocero Giovanni. Altra figura paterna a mancare, nuovo dramma, ma almeno senza schiaffi.
7. Storia di un’associazione commerciale
Il protagonista de La coscienza di Zeno soffre la presenza ingombrante dell’Olivi negli affari. È per questo che acquista un po’di felicità quando Guido gli propone di intraprendere l’avventura in proprio. Nello studio ci sono i due proprietari, il figlio dell’Olivi (Luciano), il cane Argo con cui Zeno ha un pessimo rapporto (quando mai!) e la segretaria Carmen.
Accanto a lui io mi feci molto inerte. Cercai di metterlo sulla retta via e forse non ci riuscii per troppa inerzia. Del resto, quando due si trovano insieme, non spetta loro decidere chi dei due deve essere Don Quijote e chi Sancio Panza. Egli faceva l’affare ed io da buon Sancio lo seguivo lento lento nei miei libri dopo di averlo esaminato e criticato come dovevo.
Il paragone è calzante anche se inaspettato, riusciamo quasi a immaginare la coppia. La differenza è che Cervantes non farebbe mai tradire Dulcinea. L’invidia e la gelosia dominano buona parte del capitolo; Augusta capisce tutto dopo pochi scambi di battute, Ada passa in ufficio per verificare (l’ultima volta in cui sarà “ancora bella, proprio quale s’era rifiutata a me”), mentre Zeno nota la fortuna di Guido persino nell’amante: più bella, dolce e sommessa di Carla. Ada addirittura diventa gelosa del rapporto tra Zeno e Augusta.
Il solfato di rame è la base della sconfitta. Per carità, nessun lettore avrebbe mai potuto immaginare un finale roseo per quest’attività commerciale, ma dopo un anno è già quasi tutto in malora. Guido chiede un prestito alla moglie, che rifiuta perché è difficile trovare qualcuno che possa sorridere dell’esser cornuto e mazziato – in questo caso letteralmente. Alla fine cederà per via del finto tentato suicidio del marito. Sì, in questa sezione del romanzo ci sono diverse scene che potremmo ritrovare nelle commedie con Lino Banfi e Renzo Montagnani.
Resta il fatto che le cose non migliorano, anzi, Guido gioca in borsa senza rendersi conto delle risorse sempre più risicate. Tenta nuovamente il suicidio ma stavolta riesce perché Ada immagina una nuova sceneggiata per tirare su un nuovo prestito dalla moglie. E pensare che Guido voleva davvero fingere, ma aveva chiesto consigli di chimica alla persona sbagliata: Zeno.
L’inconscio, la parte interiore, la coscienza di Zeno agisce, come si direbbe, da manuale. Psicopatologia della vita quotidiana di Sigmund Freud, nello specifico. Segue il feretro di un’altra persona e si ritrova al funerale sbagliato. Almeno sul finale, Zeno riesce a rubare l’attenzione da Guido: tutti pensano a dove sia finito, anziché focalizzarsi sul morto.
8. Psico-analisi
Con lo scoppio della guerra, Zeno decide fermamente (quasi un unicum nel romanzo) di lasciare la psicanalisi. Si abbandona alla scrittura, unico svago permesso. La banalità della diagnosi, complesso di Edipo, da un lato delude il protagonista e dall’altro lo rende felice, perché lo eleva verso la nobiltà classica. Qui svela l’importanza della menzogna, le bugie che guidano i nostri racconti; ha maggior valore il momento in cui associa il parlare italiano-toscano all’inizio della bugia, perché nella mente usiamo tutt’altre parole – era valido nel primo Novecento, ma lo stesso accade oggi nei territori rurali dove l’italiano è la lingua della televisione.
Il conflitto permette a Zeno di guadagnare, acquistare sicurezza (i soldi aiutano a guarire, specialmente chi non ha malattie – anzi, il protagonista scopre di avere quantomeno il diabete). Diventa un mercante di guerra, con spietate compravendite che lucrano su chi già possiede poco.
C’è poi l’ultima pagina. La coscienza di Zeno, senza di questa, sarebbe il mio romanzo preferito. Una facciata di sproloquio non è un buon modo per concludere. Adesso però leggo molta più malattia nel finale, trovo lo scontro tra Zeno, convinto di esser guarito, e la visione apocalittica di un mondo migliore perché tutti moriranno con la bomba atomica. È la reazione di una persona che, dopo tanto parlare di malattie, incontra una vera crisi e non capisce come sia possibile uscirne. Dal mio canto, bella ma non la rileggerei.
Godetevi questo (quasi) capolavoro del Novecento, sul web c’è anche la miniserie con Dorelli, regia di Sandro Bolchi; nel caso contattateci per parlarne ancora, visto che difficilmente si potranno esaurire i commenti verso un’opera così importante. Sono stremato.
Fine dell’articolo. Ultima sigaretta.
