La carezza della mantide – Carlo Turati : recensione

Sono un fan di Carlo Turati, al punto che ho quattro copie de La carezza della mantide. Per intenderci: del Fu Mattia Pascal ne ho solo tre. Questa è una storia che devo raccontare per forza.

Sono una di quelle rare persone che si ferma a leggere i nomi nei titoli di coda, anche per i programmi televisivi; Carlo Turati è quindi un nome che mi è familiare almeno da una buona metà di vita, ovvero da quando guardavo di nascosto Zelig a undici anni. Non mi era chiaro il motivo per cui non dovevo guardare il programma, poi ho preso una nota per aver detto “fatti, non pugnette” durante un’interrogazione. Piccola precisazione per i più giovani: MediasetPlay e Mediaset Extra erano ben lontane, e saltare la visione televisiva significava perdere per sempre l’evento di cui avrebbero parlato i compagni di classe. Inizio allora a comprare i libri dei comici per rimanere al passo, più o meno, delle battute del momento.

Da Vergassola a Marco Della Noce, passando per Parassole e Cornacchione, formo una bella collezione che condiziona il mio senso dell’umorismo. E una buona metà di questi libri è scritta anche da Carlo Turati. In pratica leggo cose sue da prima che si decidesse a scrivere un libro tutto suo. Questo è il motivo per cui sono impazzito quando ho parlato con lui su Instagram per la prima volta.

Tornando a bomba, la prima copia in ebook l’ho ricevuta proprio dall’autore mentre ero fuori casa. Il tempo di tornare alla scrivania per scoprire che mia madre me l’aveva regalato prima di pranzo, sempre in versione digitale. Poi ho capito che l’avrei recensito sicuramente, allora ho deciso di comprare la copia cartacea che potete ammirare nella foto in alto, ma non avevo fatto i conti con le persone che mi conoscono bene. Aggiungo che giustamente i miei amici non sono costantemente aggiornati sui miei acquisti, e per questo motivo ho anche il doppione di carta.

Con Carlo Turati, come avrete capito, c’è sempre una storia particolare da raccontare – e succede anche con La carezza della mantide. Marco Morlacchi ha un enfisema, due figlie e una ex moglie. È difficile superare tutto questo, ma con la giusta chiave di interpretazione si può sopravvivere a ogni scenario. La chiave è l’umorismo nel suo ampio ventaglio di varianti, dall’ironia al sarcasmo, mentre lo scenario è una famiglia che cerca uno spiraglio per andare avanti tra i problemi quotidiani e quelli sanitari, più o meno seriamente.

La malattia è sotto il tappeto su cui camminano i personaggi, e la si sente a ogni passaggio. Nonostante questo, le questioni di casa rubano tutta l’attenzione di un padre che si trova in quella fase dove il dialogo coi figli diventa più difficile del solito. Ed è stato particolarmente strano trovare il punto di vista di mio padre in molte delle parole di Marco Morlacchi.

Un po’mi ha permesso di capire certi sentimenti che spesso si nascondono tra una battuta e una litigata distratta. Anche perché il genitore è un ruolo che si impara sul campo, dato che i manuali a riguardo sono noiosi e contrastanti tra loro. E Marco decide di rinunciare a molte cose importanti, una in particolare (che non dirò perché abbiamo istituito una tassa interna sugli spoiler), per seguire le sue figlie. Marta, la grande, deve finalmente laurearsi; Alice, la piccola, è prossima alla sua prima volta al seggio elettorale.

La battuta pronta è di casa, e i dialoghi trasportano il lettore in un linguaggio reale e immediato. A capitoli (quasi) alterni leggiamo le parole vive negli scambi padre/figlia, dove si uniscono affetto, ironia e quei bonari giochi di potere che si creano quando entrambi sono dalla parte dell’altro; vorrebbero venirsi incontro, però nessuno vuole passare per il più debole della coppia. La distanza generazionale crea il resto.

Cosa vuol dire democristiano?

Vuol dire che apparteniamo a due storie diverse, amore mio. Quella prima e dopo il muro, prima e dopo il post-it, prima e dopo «Postal Market», prima e dopo le cabine del telefono, prima e dopo Colpo grosso, prima e dopo Rintintin. E anche prima e dopo Andreotti. Farti l’elenco di tutti i prima e dopo, amore mio, è così lunga che le mie palle hanno chiesto l’asilo politico in Liechtenstein già solo all’idea. Accontentati di sapere che una volta c’era della gentaglia che te la metteva dietro col sorriso, al grido di «viva gesù, viva la democrazia». Almeno adesso, baciano la madonna ma il palo che ti fotte te lo tengono dritto in faccia. E della democrazia hanno perso l’indirizzo all’ennesimo trasloco della buona fede.

Questa è la porzione più corta tra le mie sottolineature in La carezza della mantide, perché la scrittura di Carlo Turati è così bella che si fatica a trovare parti che siano men che belle; ce lo ricorda anche l’autore su Ibs:

Carlo Turati - carezza mantide ibs

La carezza della mantide (Solferino, 2020) di Carlo Turati è bello, entusiasmante e fa parte della giovanissima collana Stand up, diretta da Gino&Michele. Insomma, se non vi fidate di me o dell’autore perché siamo di parte, seguiate almeno il parere di chi ha scritto cotanta beltà (cliccate QUI).

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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