I racconti di un pizzaboy – Intervista a Damiano Lenaz

I racconti di un Pizzaboy dello scrittore fiumano Lenaz, naturalizzato pescarese ed ormai richiedente asilo in quel di Bologna, ci offre un ventaglio di personaggi, prospettive e scenari dei più bizzarri e anche un pizzico di quel 5% che cerchiamo sempre di carpire dai nostri giovani scrittori, che si spera possano essere i noti di domani. Grazie anche al nostro aiuto, ovviamente!

Il volume edito da Bookabook è molto scorrevole ed ogni singolo racconto è come un fotogramma di un film: fresco, alcolico e non puoi più farne a meno. Non mi resta che torchiare Damiano che si dimostrerà sicuramente fortissimo, simpatico e sempre sul pezzo.

Come nasce l’idea di I racconti di un Pizzaboy?

Questo libro nasce per fare soldi.

No, non è vero.

Questi racconti sono una sorta di eredità del mio vecchio lavoro; per anni ho portato in giro la cena di parecchie persone, a Pescara, dove sono nato e cresciuto, e poi a Bologna, dove mi sono trasferito per studiare e vivo ancora.

È un lavoro ingrato, ma che dà parecchi spunti, e questi spunti spesso incontravano l’esigenza di scrivere. Così da uno spiraglio, uno sguardo, un elemento particolare sbirciato in una consegna, prendevo ispirazione e partendo da quella invadente ispirazione nascevano i racconti che poi ho pensato di riunire.

Non credo si possa dire che nascono da un’idea, nascono come quasi sempre succede, per un bisogno, quello di scrivere. Quello che è successo dopo non era previsto.

Ti manca fare il pizzaboy, quello con la [s] muta? ora che non incontri più i clienti delle pizzerie e non puoi più sbirciare nelle case dei tuoi personaggi, dove prendi ispirazione?

Oggi mi occupo di altro in effetti, sono un recruiter, altro mestiere ingrato che mi mette a confronto con parecchie persone, anche se in un’ottica diversa: come pizzaboy, mi era permesso di violare uno spazio privato, questo è ovviamente negato a uno che ti chiama per offrirti un lavoro. In epoca di lockdown è capitato qualcosa di simile. Non mi sarei mai aspettato, nei mesi precedenti, di dover interrompere un colloquio a un manager per l’intervento di un gatto che salta sulla tastiera o di una bambina che chiede al padre di giocare con le bambole. Oggi capita e devo dire che è piacevole, rende tutto più umano.

Oltre questo, poi, ci sono montagne di letteratura, di cronaca e di vita da cui pescare.

Ad esempio, sotto casa mia c’è una lavanderia, accanto alla lavanderia c’è un bar e nel bar, seduta al tavolo, tutti i giorni, per tutto il giorno, c’è la lavandaia, che si alza solo quando non può farne a meno. Lei è uno spunto perpetuo, un jukebox di argomenti. A volte basta ascoltare per trovare ispirazione.

Buchi in bocca è uno dei racconti che ho preferito all’interno del volume, una storia che ha il perfetto respiro e il suo giusto tempo. È un po’ provocatorio e può risultare forte per un lettore non troppo amante del genere pulp, anche se devo dire di aver trovato una vena anche umoristica, soprattutto nella chiusa. Era tua intenzione scrivere un racconto che potesse mettere il lettore a disagio?

Buchi in bocca è un racconto a cui tengo particolarmente per diversi motivi, il primo è che nasce da un incipit non mio, ma di un collega di studi che forse voleva mettermi in difficoltà, spero abbia apprezzato il destino dell’input. Mi piace l’idea di portare un amico letteralmente dentro il mio libro.

Un altro motivo è che è uno di quei racconti che ha stupito anche me. Difficilmente scrivo sapendo dove andrò a parare, con la coscienza del destino dei protagonisti. Questo racconto non fa eccezione e quando ho messo il punto finale, quando ho riletto tutto per la prima revisione, per vedere che cosa avessi combinato, è stato come se me lo avesse messo davanti qualcun altro. Non volevo creare disagio in nessuno o perlomeno, non sapevo di volerlo fare. Volevo parlare di questa “roba”, di questa situazione così in bilico, volevo parlare di una paura tremenda, appunto quella in cui stagna il Beccamorto e di come non ci si possa convivere, di come sia difficile chiedere aiuto e di come sia difficile anche dare un aiuto, capire la situazione dell’altro.

Spero che il disagio, il fastidio che si prova leggendo il racconto, sia soltanto conseguenza di un’empatia e della risposta alla domanda “che farei io?”.

Fonti a noi note ci riferiscono che hai scritto una tesi su i cantautori italiani. C’è qualche autore in particolare che ascolti mentre scrivi? C’è una colonna sonora ideale per I racconti di un pizzaboy?

Qualcuno ha fatto i compiti a casa… non ho idea di chi siano le vostre fonti, ma non mentono.

Il cantautorato italiano mi ha cresciuto, è un sottofondo non solo quando scrivo, ma un po’ per ogni cosa. Credo sia molto sottovalutato, ancora oggi, sotto il profilo letterario.

Autori come De Gregori, Dalla, Guccini, Paolo Conte, Vecchioni, De Andrè, Battiato, ma anche i più vicini Silvestri, Fabi, i Baustelle, Kruger, Bersani sono un pozzo da cui attingere incredibilmente ricco, spesso trascurato, fatta eccezione forse per il solo De Andrè. Tutti autori che, al pari di scrittori, mi hanno aiutato a trovare idee o anche solo voglia di scrivere.

Mi piace pensare che quando si ha in mano un libro, in qualche modo diventa personale, proprietà intellettuale di chi legge e in quanto tale è giusto che ognuno cerchi la propria atmosfera musicale, per cui non mi sento di dare suggerimenti, puoi leggere anche i tratti più macabri ascoltando la sigla del Benny Hill show, son gusti per carità.

Io andrei su qualcosa di più caldo.

In caso di una catastrofe improvvisa, cosa non così impossibile visto la situazione, quale racconto vorresti ti sopravvivesse?

È come chiedere a un bambino se vuole più bene al papà o alla mamma. In ognuno di questi racconti c’è qualcosa di me. Ce n’è uno, però, dove penso di essermi immedesimato in maniera particolare: quello eponimo.

In Racconto di un pizzaboy c’è molto di quello che ero e di quello a cui aspiravo, ho cercato di raccontare il mondo in cui fantasticavo di vivere, mescolandolo a quello in cui vivevo. Lì dentro, neanche troppo celati, sono nascosti i riferimenti letterari per me più importanti, tracce di ispirazione, le opere che ho sempre guardato con ammirazione messe a confronto con la mia realtà quotidiana.

Credo sia quello che parli un po’ più di me o per lo meno delle parti meno imbarazzanti. Quello che lascerei più volentieri in giro, se non avessi più la possibilità di giustificarmi.

Secondo Caparezza «il secondo album è sempre più difficile». Cosa ci racconti a riguardo, sei in fase di scrittura?

Non vedo perché contraddirlo, per cui sto provando ad aggirare il problema. Nel cassetto ci sono un paio di progetti a cui sto lavorando in maniera tale che così non possa sapere quale di questi sarà il secondo, il terzo o il quarto. In particolare, un romanzo, che coinvolge uno dei protagonisti di questi racconti e un paio di raccolte, non faccio promesse però (né spoiler!).

Per capire meglio che tipo di lettore sei, ci consigli un romanzo, una raccolta di racconti e un saggio?

C’è un romanzo che consiglio a tutti (anche coattamente, lo regalo a chiunque mi contraddica sull’argomento) è “Pulp” di Bukowski, un autore che stiamo letteralmente disgregando e che invece è molto più di quello che viene visto dalla cultura pop contemporanea, non è buono solo per le didascalie delle foto sui social, questo romanzo credo ne sia la prova più indelebile.

Una raccolta di racconti che mi ha sempre affascinato, invece, è “Cattedrale” di Raymond Carver.

Sulla saggistica consiglierei di dare uno sguardo a Pier Vittorio Tondelli, “Un Weekend Postmoderno” vale quanto una biblioteca intera.

Noi Bookrider stiamo sperimentando una chiusa simpatica per concludere la nostra chiacchierata, in modo da conoscerci meglio. Prova a rispendere di getto e dimmi quale preferisci:

Tartaruga – Lemure

Negroni – Whisky &cola

Pizza Rossa – Pizza bianca

Acqua – Fuoco

Racconti – Romanzi

Segnalibro – Orecchietta

Hemingway – Bukowski

Vecchioni – Guccini

Capitan America – Wolverine

Batman – Superman

Non so se ho capito bene la consegna, ho scelto quello che preferivo della coppia, se invece mi chiedete di scegliere la coppia che preferisco, senza dubbio Capitan America- Wolverine!

Federica Andreozzi

Leggo da sempre, e ho deciso di diventare miope e astigmatica solo per provarlo a tutti. La mia compagna di vita si chiama Ansia, che mi somiglia ma ci vede benissimo. Recensisco di tutto, anche le etichette delle camicie, ma se mi date un fantasy non potrò che assumere l’espressione schifata in foto.

Lascia un commento