Ogni scrittore ha i suoi idoli e i propri punti di riferimento in letteratura. Con ogni probabilità, forse in anni giovanili, avranno imitato il loro stile, il lessico, le strutture. Certamente si sarà compiuto qualche saccheggio “in nome dell’arte”.
Qualche tentativo, col tempo, diventa qualcosa di più. Si sviluppa, diventa un’opera propria, pur mantenendo evidenti debiti verso il testo originale.
Philip Roth diventa un nuovo Kafka, e il suo protagonista subisce una metamorfosi decisamente migliore rispetto allo sfortunato Gregor Samsa. Ne Il seno non c’è la trasformazione in scarafaggio ma in una morbida, sensibile ed enorme tetta (un metro e ottanta, alla faccia delle coppe di champagne!).
L’attore principale del romanzo breve è David Kepesh, professore di letterature comparate, che per mestiere ha sempre avuto l’abitudine di lavorare soprattutto con la vista. Capirete che, nonostante sia un’esperienza senza dubbio intensa, il petto non possiede occhi. Il senso principale diventa il tatto, e la sua esplorazione porta a nuovi stimoli nella vita radicalmente cambiata dell’accademico.
Come spesso accade nella bibliografia di Roth, il protagonista dialoga molto col suo psicologo. È proprio durante una conversazione che ricorda un momento di intimità incentrato sui seni della moglie e la voglia di non staccarsene mai; giunge allora alla conclusione che la sua vita sia diventata una favola dalla stramba morale in cui bisogna sempre prestare attenzione ai desideri più folli. Anche l’arte potrebbe aver influito, secondo i suoi deliri; del resto, dopo tante lezioni sul Naso di Gogol o sulle fantastiche peripezie di Swift potrebbe accadere di tutto.
Eppure la razionalità della cultura non riesce ad aiutare l’uomo nella ricerca del nuovo sé. Nonostante i toni del libro siano spesso sarcastici o umoristici, i pensieri tendono al cupo e all’angoscia del cambiamento, dal quale non si vede una via di uscita. La diversità è uno dei cardini della seconda parte, dove i pregiudizi possono colpire anche una indifesa tetta nel letto di una clinica.
In appena 60 pagine si ritrovano tutti i temi cari a Roth, dall’ebraismo (nelle discussioni col padre) al rapporto col sesso. Kepesh è, anzi, il personaggio che meglio incarna le pulsioni e perversioni della penna dell’autore. Tra gli altri romanzi che lo vedono protagonista è da segnalare almeno L’animale morente, in cui è ancora una volta centrale il seno dell’amata (ma senza brutti scherzi del destino).
Il grottesco e il surreale spadroneggiano, e mi sembra strano che il volume sia così poco citato dagli amanti del genere. Per questo motivo mi sembra quasi necessario far scoprire o rileggere questa storia che si è persa nell’oceano letterario di Roth, sepolto da macchie umane e pastorali americane. A quasi 50 anni dall’uscita – il testo originale è del 1972 – Il seno di Philip Roth rimane fresco e attuale, profondo e divertente. E poi non siete curiosi di sapere cosa può cercare un uomo diventato egli stesso il suo oggetto di desiderio?