Il protagonista di Il re degli stracci di Stefano Vicario è un ultimo tra gli ultimi, un barbone. Ne esploriamo la vita in lungo e in largo, comprendiamo con lui i motivi di questa scelta. Già, perché Andrea Massimi non ha subìto un tracollo finanziario, bensì ha deciso consciamente di trasformare la propria esistenza.
Era un avvocato in carriera, proveniente da un’ottima famiglia romana. Nulla lascia presagire il futuro. La vita di Andrea fa crac nel corso di una notte maledetta: mentre è a letto con l’amante, vengono assassinate la moglie e la figlia. Una scopata non vale una famiglia, e questo pensiero martellante porta l’avvocato Massimi a diventare un clochard.
Forse il termine clochard è più adatto rispetto alla parola barbone, se non altro per i rimandi che creiamo con la mente. Andrea ha le spalle dritte, degli occhi bellissimi e un portamento che potrebbe tradire il suo passato.
Una parte del suo vissuto precedente, un ultimo brandello, sopravvive nello studio di cui è socio per metà; lì lavora suo fratello Giorgio, quello con la testa sulle spalle. Mentre Andrea era quello a cui tutto riusciva facilmente grazie alla parlantina e al bell’aspetto, Giorgio Massimi sembra la solida retrovia che doveva aggiustare ogni problema creato dall’esuberante sodale.
Ad esempio è proprio lui a coprire la scappatella con l’amante, la segretaria (un classico, ma del resto è scombinando i cliché che nascono le migliori storie).
Il re degli stracci però è costretto a tornare sulla scena del crimine, perché crescono i dettagli e le incongruenze che potrebbero addirittura riaprire il caso, chiuso in tutta fretta per non rovinare la reputazione dello studio e della famiglia Massimi.
“I piedi fanno da soli, e Andrea si trova davanti a casa, la sua vecchia casa. Continua a provare una sensazione straniante, come se fosse a cavallo del tempo, sono passati anni, non è passato neanche un minuto. Ha ancora in tasca le chiavi perché le porta sempre con sé le ha fatte diventare una specie di talismano del dolore, un ossimoro tangibile: le chiavi di casa di un senza casa.”
Il senzatetto ritrova l’abitazione pressoché identica, ma gli elementi che potrebbero portare nuove prove, proprio quelle piccole significative inquadrature – e qui riconosciamo l’occhio del regista Stefano Vicario – sono cambiate. Qualcuno sta cercando di nascondere la verità.
Ad aiutare il protagonista c’è il sostituto procuratore Anna Ungaro, che riconosce in Andrea un istinto diverso da quello dei suoi colleghi. Nel commissariato scorre una bestialità celata, mentre il barbone ha una purezza mentale che cozza col suo aspetto.
Gli altri aiutanti sono invece provenienti dal nuovo tessuto sociale che si è formato intorno all’ex avvocato, altri homeless, come Lillo, Gigi e Flora, fondamentali anche per le loro caratteristiche.
“Gli stracci che porti addosso. Sono loro il tuo potere. Puoi attraversare il mondo senza essere visto, puoi arrivare dove vuoi perché ti rendono invisibile agli occhi e all’anima della gente. Perché la gente non vuole vederti. Quando ti vede sta male, distoglie lo sguardo. E tu diventi trasparente. Come l’aria. È un grande potere, se lo sai usare.”
Il re degli stracci è un noir intrigante, e ho faticato a staccarmi dalle pagine (l’ho letto in una notte, nonostante il lavoro all’indomani). Stefano Vicario è al suo esordio letterario, ma è un narratore così convincente che sembra quasi di trovarsi in una storia già avviata, come leggere il volume migliore di una saga poliziesca. Rimarremo in trepidante attesa per il prossimo volume o, chissà, un film o una serie che possa tradurre quest’ottimo romanzo.