Il posto che ho scelto – Tonia Bardellino : intervista

Tonia Bardellino riesce a spingere nel cuore dei lettori quel carico di amore che spesso cerchiamo senza trovarne i frutti. Evito la poesia contemporanea ogni volta che posso, perché la maggior parte delle volte finisco tra inutili ricerche da dizionario dei sinonimi e contrari, come se l’unico modo di comporre versi sia la spasmodica esplorazione tra le parole più desuete. D’Annunzio ha creato, nell’ultimo secolo, dei veri mostri.

Con Il posto che ho scelto i testi poetici tornano alla bellezza primigenia delle immagini comprensibili a tutti, perché la profondità e il fascino devono arrivare a tutti. I componimenti non hanno neanche bisogno dei titoli, visto che sono i sentimenti a dominare gli scritti.

Bisognerebbe innamorarsi;

di qualcuno o qualcosa, di un’idea o di sé

stessi. Ma innamorarsi sul serio.

Una volta alla volta.

E far sì che ogni volta sembri l’ultima volta.

La seconda parte, dove troviamo lettere, messaggi e scambi con Franco Califano, sembra dialogare con la prima. Questo anche perché l’arte autoalimenta l’arte, parla con essa, e certe anime appaiono destinate ad incontrarsi. Anche lui – lo sappiamo bene – sapeva comunicare a tutti, con parole semplici che acquisivano profondità con la forza delle immagini narrate.

È un peccato che molti si soffermino sui lati oscuri e extra-artistici del poeta, e questi scritti privati rendono giustizia al grande cuore di un uomo che ha saputo infondere calore in ogni suo verso.

Parliamone però con l’autrice di Il posto che ho scelto, Tonia Bardellino.

Come nascono i versi di Il posto che ho scelto?

I versi nascono dalla volontà di esternare il senso di gratitudine e di amore che provo per Califano, in primis, e per Roma. Da qualche anno pensavo di scrivere qualcosa su Franco – di dedicargli un libro – che non lo raccontasse però attraverso le solite storie e i cliché che hanno portato alla ribalta più il suo personaggio (donnaiolo – sregolato – poeta bello e dannato) e meno la persona che era (uomo generoso – autentico e con valori sempre più rari in quest’epoca sventurata).

“Il posto che ho scelto” è una raccolta di componimenti poetici che toccano temi universali dell’esistenza – che sono poi quelli di “califiana memoria” – cari a Franco: l’amore, la libertà, la passione – la malinconia – la noia. La solitudine.

L’unica forma di scrittura che mi è parsa adatta ad omaggiare il Califfo e la Città Eterna.

Nei tuoi versi citi Roma solamente due volte, eppure la Città Eterna sembra presente nella maggior parte del testo come un tappeto pregiato ma vissuto. Qual è il tuo rapporto con Roma?

A Roma mi lega un rapporto d’ amore. La Capitale è proprio un tappeto pregiato sul quale è disegnata la vita che vivo – con i sogni a cui aspiravo e che in buona sostanza ho realizzato. È il posto che io e Franco, per ragioni diverse, abbiamo scelto per diventare ciò che evidentemente siamo sempre stati: lui un grandissimo cantautore – io una professionista appagata. Un luogo che simbolicamente, per me, rappresenta la libertà di essere sé stessi – affrancato da giudizi – pregiudizi o convenzioni sociali errate.

Il posto che auguro, in pratica, ad ognuno di noi.

Com’è stato il tuo primo incontro con Franco Califano?

Un concerto nella Riviera Romagnola – a Rimini.

Avevo 10 anni. Un’emozione indicibile. Un rapporto che da quel giorno fino alla morte di Franco non si è mai interrotto. È iniziato tutto con una corrispondenza epistolare. Ci inviavamo lettere. Le prime ricevute dal “califfo” – scritte di suo pugno – sono riportate nella seconda parte del libro e risalgono agli anni in cui frequentavo la scuola elementare.

Nelle poesie di Il posto che ho scelto c’è una vena malinconica particolare. Mi spiego: tendenzialmente la malinconia è vista come un sentimento “molle”, senza forza, mentre qui c’è una malinconia tenace, con nerbo, proprio come accade con le canzoni di Califano. Quanto ti ha influenzato? O è tutta una mia suggestione nata dalla lettura della seconda metà del libro?

Mi auguro non sia una sua suggestione. Califano mi ha certamente influenzata e la similarità che nota tra i nostri versi è per me un onore e una grande gioia. Era un uomo di gran nerbo, palesato anche nella “malinconia tenace” delle sue canzoni.

Sì, credo che mi abbia trasmesso un po’ del suo “vigore espressivo” nella poesia, quanto nella vita. Lui la affrontava con forza, ironia e autenticità. Io provo a fare lo stesso ogni giorno.

Con quale poesia vorresti che i lettori possano entrare nel tuo mondo?

Vorrei in primis che si leggesse di più la poesia, che resta sempre molto difficile da veicolare e far conoscere. Riguardo alle mie poesie credo che tutte rivelino un po’ di me. Non ce n’è una che prediligo. Mi auguro semplicemente che i lettori possano scoprire davvero un po’ del mio mondo e di quello di Califano attraverso ciò che ho scritto – identificandosi con i miei pensieri e proiettando, nelle mie righe, le loro intime e non ancora svelate verità.

Un’ultima domanda su Franco Califano: quale canzone andrebbe riscoperta?

Andrebbe riscoperto il suo repertorio artistico meno noto. I suoi primi libri di poesie – le canzoni interpretate in dialetto napoletano (“Canzone va” – ad esempio – è un testo in lingua partenopea che mi piace molto) o brani che toccano problematiche sociali – come “La luna in metropolitana” nel quale Califano ha ben raccontato il triste avvenimento della droga, dell’eroina:

«Cercava la luna in metropolitana, un ago feroce che non ha mai pena colpiva una vena. […] Un bisogno d’affetto che nessuno le dava, uno spazio da niente in cui lei soffocava, rotolando di noia non vedrà più la luna. Ha voluto così». Andrebbe riscoperto l’artista che non è stato autore semplicemente di: “Tutto il resto è noia”, “Minuetto”, “Un tempo piccolo”, “La mia libertà” o “La Nevicata del 56”.

Tonia, sei anche saggista. Il prossimo progetto sarà orientato verso la poesia o i saggi? Cosa bolle in pentola per il futuro?

In pentola bolle un gustoso ragù! (risata)

Ho sicuramente ancora tanti sogni da realizzare.

Vorrei arrivare al “mio capolinea” stremata, per aver vissuto al massimo delle mie possibilità, provando a realizzare tutto ciò che ancora desidero.

Sarei comunque orientata per un ipotetico progetto editoriale più verso la poesia.

Penso ad una sorta di “Il posto che ho scelto” – parte seconda. Lo pubblicherei non tanto per scrivere nuovi componimenti (senza i quali le persone riuscirebbero a vivere ugualmente benissimo – risata), ma per regalare altre lettere ai fan di Califano. Ne ho ancora tante custodite. E per regalare a me stessa un’altra prefazione di Sgarbi: personaggio illustre, di abbagliante intelligenza con un bagaglio culturale di infinita varietà. Sfido ad affermare il contrario. Le sue pagine di presentazione al mio libro sono state un prezioso dono, fatto con generosità e dolcezza. Perché Vittorio aldilà dell’apparenza – del personaggio mediatico è un uomo, tra l’altro, generoso e dolce.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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