Ho visto Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti (bellissimo) e c’è una scena in cui Giovanni, regista in crisi interpretato ovviamente da Moretti stesso, immagina di trasporre per il cinema Il nuotatore di John Cheever (1964). Il risultato è comico, perché il racconto sembra assolutamente “infilmabile”: Neddy Merrill si sta rilassando durante una festa in piscina quando all’improvviso decide di mollare tutto e tornarsene a casa a nuoto, percorrendo l’intera contea attraverso le piscine private di amici e conoscenti; quello che sembra un capriccio da uomo di mezza età ricco e annoiato si trasforma in un viaggio sempre più cupo e angosciante.
Nonostante il soggetto non proprio agevole, e a dispetto di Moretti, in realtà se ne trasse un film già pochi anni dopo, con protagonista un Burt Lancaster in costume striminzito, non più giovane ma ancora in splendida forma. Se riuscite a procurarvelo, il film è molto fedele al racconto, con qualche informazione in più sul protagonista che integra bene la figura del Neddy Merrill originale.

Televisivamente, poi, i personaggi di Cheever vivono nel Don Draper di Mad Men, che non a caso vive a Ossining (nello stato di New York) come fece Cheever stesso per gran parte della sua vita.
Nanni Moretti, i meme su Mad Men, il mio patetico tentativo di fare acquagym e agosto alle porte mi hanno insomma fatto venire voglia di leggere Il nuotatore. L’avevo già letto al liceo ad essere onesta, probabilmente da un’antologia per il biennio, ma non ne ricordavo mezza parola, se non che mi fosse piaciuto. Mi sono data la spiegazione che fossi troppo piccola per apprezzarne la prosa fulminante, asciutta, in grado di evocare interi immaginari in poche righe.
Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere “Ho bevuto troppo ieri sera”.
Erano i tempi in cui il mio romanzo preferito era Destroy di Isabella Santacroce, viaggiavo su tutt’altre frequenze. Riletto oggi, ha avuto su di me l’effetto di un caffè con limone dopo una sonora sbornia, per restare in tema. Per un’aspirante scrittrice che si perde dentro agli avverbi, Cheever è uno schiaffo dritto in faccia. Dire quello che serve, lasciar fare il resto al lettore, scegliere ogni singola parola con cura maniacale per non doverne aggiungere un’altra superflua.
Se quel pomeriggio qualcuno avesse fatto una gita domenicale, avrebbe potuto vederlo, seminudo, ai margini della strada statale 424, in attesa che si presentasse l’occasione di attraversarla. E si sarebbe domandato allora se quell’uomo era vittima di qualche scherzo di cattivo gusto, se la sua auto si era rotta o se era semplicemente un pazzo.
Ho riletto Il nuotatore nella raccolta Una visione del mondo curata da Julian Barnes, che sceglie e introduce sedici tra i racconti più significativi di Cheever. Che siano medioborghesi nei sobborghi del Vermont o aristocratici dell’Upper East Side di Manatthan, i suoi personaggi sono accomunati da una disturbante dissonanza tra ciò che appaiono e ciò che sono. Covano mostruosità nel loro animo, ma sono talmente alienati da sé stessi e incapaci di guardarsi dentro, abituati a derubricare ogni paura e angoscia come qualcosa di sciocco, da eliminare ad ogni costo, che esse finiscono con l’emergere incontrastate, in modo distruttivo. Anche quando Cheever prova a donare un finale consolatorio ai suoi protagonisti, rimaniamo comunque sgomenti di fronte alla mancanza di senso e di scopo, a quest’umanità sbigottita e disperata. Lo spiega bene l’incipit di La morte di Justina:
Che Dio m’aiuti, diventa tutto sempre più assurdo, corrisponde sempre meno a quello che ricordo e a quello che mi aspetterei, come se la vita fosse una forza centrifuga che ci getta sempre più lontani dai nostri ricordi e dalle nostre ambizioni più pure […]
Se non avete mai letto Cheever, consiglio di partire proprio da qui. L’edizione nella collana “Narratori” di Feltrinelli (2021) è anche estiva, perfetta per le spiagge. O le piscine.