Il mandolino dimenticato – Intervista a Alessandro Febo

Ho conosciuto Alessandro col suo primo romanzo. Lui fa cultura in modo attivo, infatti il romanzo me l’ha portato personalmente e ci siamo sentiti per molto tempo. Da qui mi sono affezionato al suo progetto. Nei suoi quattro testi c’è un filo conduttore, da La solitudine del mare a Il mandolino dimenticato. Si nota la persona, buona e onesta, e cerca di portare nell’arte qualcosa che si sta perdendo. Elimina le zone d’ombra, e fa un taglio netto.

Nemo propheta in patria, e ora lavori in Francia. Come mai?

Mi sono trasferito a Parigi dall’ottobre dello scorso anno, un po’perché non reggevo più le situazioni che si creano in Italia. La maleducazione è all’ordine del giorno, come la prepotenza e la mancanza di rispetto. Purtroppo ho un difetto: sono incazzoso ma buono. Vado da sempre contro i cattivi e continuerò così. Un antigomorra per eccellenza, come testimonia L’ultimo round. I miei valori non sono quelli di questa società, la famiglia mi ha cresciuto in modo diverso. Scrivo per non arrabbiarmi dal vivo. Dopo tante delusioni artistiche e personali, a Parigi sto trovando la mia dimensione. Il primo romanzo me l’hanno boicottato, mentre lì ricevo proposte per traduzioni e pubblicazioni. La solitudine del mare trova spazio sia a livello letterario che cinematografico.

Abbiamo due romanzi di formazione a tutto tondo e quindi due film di formazione. Ne avevamo parlato per L’ultimo round che ha già avuto una trasposizione ahinoi travagliata. Vuoi parlarcene?

Avevo trovato l’occasione di portare l’opera sul grande schermo, in veste di regista e protagonista. Una persona che mi sembrava corretta ha deciso di portare la storia su pellicola. Ho girato nel 2020 in un mese tra Tocco da Casauria, Pescara e Matera con nomi importanti: Giovanni De Carolis, campione del mondo di pesi medi, Malena e tanti altri. Riesco a terminare tutto prima della pandemia, la stessa che questa persona ha sfruttato per non pagare chi ha lavorato al progetto. Il film ora è pronto e bloccato. Un distributore francese mi darà una mano ma purtroppo c’è da aspettare, siamo in un limbo.

Passiamo ai tuoi Versi e pensieri di un romantico incompreso.

Mi sono avvicinato alla poesia dopo una delusione lavorativa. Dalla Sicilia ho girato da solo il versante tirrenico d’Italia, ed è con quest’animo errante che ho lavorato sui testi.

Le tue poesie sono molto visive, lavori per immagini, ma ho apprezzato tanto la riproduzione dei suoni che hai scovato in giro nel tuo lungo viaggio. Scrivi anche nel dialetto siciliano, napoletano… In una poesia ci sono entrambi e si lega il tuo amore per il mare (Incontro tra due mari, ndr.).

Sì, sono il Tirreno e lo Ionio che dialogano lì dove si incontrano. È quasi un dialogo teatrale, perché la contaminazione è inevitabile.

Cerchi la musicalità, sfrutti una struttura simile a quella della canzone. Hai mai provato a scrivere testi musicali?

A questo punto devo introdurre una persona che purtroppo non c’è più, Paolo Cerasoli, un maestro che mi ha accompagnato in diversi spettacoli a teatro e stava scrivendo la colonna sonora de L’ultimo round. Scrissi dei testi e lui fece le musiche. Portammo il tutto a teatro, ma i tempi non erano ancora maturi. In futuro chissà…

Il mandolino dimenticato: dopo lo sport passiamo all’arte. Di cosa parla, brevemente?

Tra le tematiche sociali che porto avanti c’è l’importanza degli anziani. È un bel nucleo di Il mandolino dimenticato. Gli anziani portano un vissuto, valori e sentimenti che perdono terreno nei più giovani. Raccontano tanto ma vengono ascoltati sempre meno. È la storia di Armando, un grande attore, musicista e scrittore. A teatro ha conosciuto sua moglie Rosa, anche lei attrice; si è fatta da parte per farlo crescere artisticamente, ma non ha mai smesso di amarlo. Il figlio, invece, crescendo si è allontanato dalla famiglia. Amava poco il percorso artistico del padre. Dopo il ritiro dalle scene, vanno sulla costiera amalfitana a godersi la pensione. Ogni mattina il suono del mandolino riaccende l’amore tra i due. Quando Rosa viene a mancare, la compagna del figlio – spietata manager milanese – convincerà l’uomo a portare Armando in una RSA. Lì ci sarà una nuova vita, drammatica e al contempo ironica.

Ho apprezzato molto l’alternanza, come la parte centrale che è più rocambolesca, tra fughe e arte di arrangiarsi. Ma per te cos’è la memoria, visto che il protagonista ha proprio problemi di memoria (selettiva)?

La memoria è fondamentale, per questo bisognerebbe studiare la storia e non dimenticare. Armando, dopo tante situazioni difficili e drammatiche, si salverà proprio grazie alla memoria che ritorna. I miei personaggi sono molto combattivi, e cercano di recuperare a tutti costi quello che perdono. Questi vecchietti arzilli si dimostreranno fortissimi.

Dentro il protagonista, oltre l’estrema determinazione, cosa c’è di te?

Tutto, ma ci sono anche persone vicine a me: da mio padre a diversi miei parenti. “Noi siamo i libri che leggiamo e i film che vediamo”, ma anche le persone che frequentiamo.

Un’ultima domanda, anche per uno sguardo d’insieme. Anche per Il mandolino dimenticato ci sarà un progetto cinematografico?

Per ora c’è un’idea per un cortometraggio, ma ho comunque voglia di puntare a un minutaggio maggiore. Al cinema posso arrivare a un numero maggiore di spettatori, e quindi diffondere al meglio le mie idee.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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