Rieccoci, con Il maialino di Natale di J.K.Rowling. Avevo detto che quest’anno non avrei preso la storia di Natale di Joanne; mi sarei fatta bastare L’Ickabog.
Invece ho adorato questa storia, un pelo di più, forse, del già citato compagno che lo precede. Sarà forse perché anche io ho sempre immaginato un mondo fatto solo per gli oggetti e mi sono sempre chiesta dove sparissero e se stessero bene.
Spero segretamente che tutto ciò che ho perso e amato sia sull’Isola dei Diletti e non a vagare per la Landa degli Illacrimati :’( povere cosucce mie!
Il maialino di Natale è un po’ come Toy Story, ed in effetti della scrittura della Rowling ho sempre apprezzato l’arte di saper sfruttare elementi comuni, alla portata di tutti, e di farli diventare oro. Forse i più piccoli non ricorderanno il lungometraggio animato sui giocattoli parlanti, ma per i più nostalgici, come me, attenzione alle lacrimucce.
J.K., con la nuova storia de Il maialino di Natale, dona vita, durante la notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre, la notte dei miracoli e delle cause perse, ai più svariati oggetti, non solo ai giocattoli, ma a tutte quelle cose a cui il nostro amore, l’uso e le attenzioni donano un’anima, le vivificano. Cucchiai, orecchini, orologi poesie e ricordi, tutto può essere perso, finire fuori posto. Vi assicuro che non avevo mai pianto per un ombrello. Ma lo sconforto con cui quest’oggetto, perduto e ritrovato, accetta il fatto che essere dimenticato sul treno rappresenti la fine, e che il suo proprietario se ne comprerà uno nuovo mi ha commosso in una maniera inaspettata; facendomi venir voglia di lottare per ogni mio singolo oggetto smarrito!
L’oggetto protagonista della nostra storia è un maialino di peluche. Anzi, qui ho avuto la mia prima sorpresa narrativa, i maialini sono due, Lino & Nat, fratelli di fabbrica, simili in tutto eppure uno è l’insostituibile amico d’infanzia, di mille avventure e l’altro un rimpiazzo…
Jack, che ne è il proprietario, è un bambino che deve affrontare un sacco di cambiamenti nella sua giovane vita. Il divorzio dei genitori, l’allontanamento del padre, una nuova scuola e poi anche nuove figure nella sua vita, un patrigno e la sorellastra Holly. È molto da mandare giù per un bambino. E Jack lo fa grazie all’aiuto del suo maialino di peluche Lino, unico sopravvissuto della sua stabilità precedente che riesce a dargli forza ed è fedele confidente di tutte le paure che non può confidare a nessuno. Soprattutto quando gli adulti hanno bisogno di sentirti dire che va tutto bene.
Ma non va tutto bene, anche Holly, solo di poco più grande, sta soffrendo per i grandi cambiamenti nella sua vita. E si sa, i bambini litigano spesso e sanno essere cattivi ed è così che Holly si libera di Lino, lo getta via sotto gli occhi increduli di Jack che se fino ad ora era stato un bambino buonissimo, accettando sempre tutto con pazienza, persino i malumori della sorella, senza Lino è disperato, fa il diavolo a quattro ed è inconsolabile. Rifiuta ogni proposta ed ogni aiuto, rifiuta anche un nuovo maialino che Holly, pentita, gli regala.
Ed è proprio così che inizia l’avventura de Il maialino di Natale, una fantastica avventura in un mondo nuovo e sconosciuto, intriso della magia della notte più speciale dell’anno. Un mondo in cui gli oggetti parlano, si preoccupano, si raccontano, si perdono e sperano solo di essere ritrovati, oppure riconsiderati. Perché le loro sorti cambiano al nostro bisogno e così Pranzy, una scatola porta pranzo, può essere rimodulata da “usa e getta” a “dove sarà mai” perché all’occorrenza un oggetto dimenticato può diventare fondamentale! Oppure il crudele Pestone, uno scarpone chiodato, può essere per nulla contento di essere ritrovato!
Ma l’amore ci salva sempre, soprattutto quello inaspettato dei bambini, come per lo sfortunato Coniglietto azzurro, abbandonato nel fango, destinato a vagare per la landa e sorprendentemente salvato dalle attenzioni di una bambina a cui il giocattolo piaceva davvero! Ci sono altri posti però in questo mondo sconosciuto dove le nostre cose si possono rifugiare, coma La Città dei Rimpianti, la più bella di tutti i luoghi visitati da Jack e da Nat nel loro girovagare alla ricerca di Lino.
Nella Città dei Rimpianti ci sono le cose preziose, i telefoni cellulari, i diamanti, ma anche ciò che è prezioso per noi, come una poesia appena scritta e persa o una nuova identità, fatta da tante piccole menzogne che servono a proteggerci dai cambiamenti, dal mondo esterno.
Ma non è tutto oro ciò che luccica e a volte perdere qualcosa non è un così gran male, come perdere la prepotenza che genera il Potere o la cattiveria che vive nell’Ambizione; altre volte perdere cose come la Speranza o la Gioia o l’Ottimismo può essere un danno maggiore.
La speranza però è l’ultima a morire, e l’incrollabile fede di Jack non verrà mai meno. Caparbio, coraggioso e fiducioso, non perderà mai la fiducia nella possibilità di ritrovare il suo maialino di peluche; per lui ha affrontato mille avventure, mille pericoli eppure neanche la minaccia del Perdente lo spaventa.
Jack è un vero amico, e sa riconoscere il valore delle cose. Di tutte le cose, anche di quelle più piccole che fanno muovere gli ingranaggi più grandi, non abbandona i vecchi amici e soprattutto sa riconoscerne di nuovi quando li trova.
Il maialino di Natale è una magica fiaba sull’amicizia, sul coraggio, nell’affrontare la vita con determinazione ma anche sull’affrontare i cambiamenti e le perdite; perché in fondo, come ci insegna Elizabeth Bishop: “l’arte di perdere non è difficile da imparare, benché possa sembrare un vero disastro”.
L’arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall’intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell’ora sprecata.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.
Ho perduto l’orologio di mia madre.
E guarda! L’ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.
L’arte di perdere non è difficile da imparare.
Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro.
Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato). Questa è la prova. È evidente,
l’arte di perdere non è difficile da imparare,
benché possa sembrare un vero (scrivilo!) disastro.