Unire Antonio Rezza, tra i pochi veri sperimentatori del panorama italiano, e il genere giallo, il più ricco di cliché tra le categorie letterarie, può sembrare un’assurdità. È invece la parte vincente di Il fattaccio, che con quest’unione esce dalla letteratura di genere e diventa un vero e proprio romanzo sperimentale.
“Questa notte il mare ha portato a riva il seno di una donna, reciso di netto dallo sterno. Le mammelle galleggiavano sull’acqua prima di adagiarsi sulla sabbia.
Un pescatore le ha scambiate per meduse ma poi, dal colore brunito dei capezzoli, ha tracannato l’ipotesi inquietante: il seno di una donna ha preso il largo.”
Con quest’incipit entriamo subito in un’atmosfera macabra, dove immaginiamo già un killer che smembra una donna (da qualche parte quel seno sarà arrivato), e nella mente generiamo un quadro tutto da disegnare. La prima ipotesi è quella di trovarsi di fronte a parti del corpo che figureranno pian piano nel corso dell’indagine, in attesa del passo falso. In ogni manuale sugli assassini seriali leggiamo del brivido nella sfida alle forze di polizia, perché ogni uccisione può aiutare nella scoperta dell’artefice delle carneficine. Qui c’è una sola vittima che però entrerà in scena pezzo dopo pezzo.
Rezza lavora sul corpo e sul linguaggio in ogni arte affrontata: dal teatro alla videografia fino alla letteratura. Il fattaccio smembra il corpo, e il grottesco diventa la lente migliore per seguire queste vicende. La seconda tranche consiste in una doppia chiappa. Animata, persino.
Il gioco prosegue nell’assurdo, ad esempio con la ricerca di un ombelico. Tentare di raccogliere quello spazio vuoto, che solitamente è circondato dalla carne, diventa una sfida impossibile. L’impossibilità è esattamente il campo del commissario protagonista, e infatti trova il giusto stratagemma. È il primo a comprendere il modo in cui giocare.
Del resto è proprio la caratteristica dominante degli attori, la capacità di giocare a tutte le età. Nella parola è ancor più evidente. Il giallo segue una lingua più elevata, rispetto ai soliti registri del genere. Col proseguire delle pagine diventa aulico, ma non solo: ogni tipo di linguaggio diventa plausibile, addirittura il linguaggio matematico.
Il Commissario ha rari virgolettati, nella sua linea letteraria pesa le parole e non ne dice mai una di più, ma leggiamo tutti i suoi ragionamenti che piovono torrenziali dopo ogni evento o microevento del romanzo.
La definizione migliore per Il fattaccio è però quella di metaromanzo. Il protagonista parla in prima persona, e scopriamo che sa di essere colui che narra la storia. Da autore si rivolge ai lettori e prosegue un gioco anche ironicamente sadico, dove semina indizi che non portano da nessuna parte, rallenta la lettura, spiazza, distrugge la relazione, il patto che l’autore e il lettore stringono dopo l’acquisto del testo.
“Mentre voi andate a rileggere io ne approfitto e vado avanti, un tradimento in piena regola, senza morale e dignità, una stilettata alle spalle del povero lettore che magari sta passando un pomeriggio di riposo sotto l’ombrellone con in mano il libro stampato. Bella merda che sono, mi faccio gioco dell’ingenuità del villeggiante e lo rimando indietro come un ritardato che non fa tesoro.”
Ci attende mentre cerchiamo la matita, ma io l’avevo fin dalla prima pagina. La seconda parte del romanzo è molto più vicina ai lavori di Antonio Rezza, ma come sempre riesce ancora una volta a spiazzarci.
Il percorso del Commissario passa dal grottesco all’assurdo, e infine entra in un genere a sé. Sono state epifanie le prime apparizioni su Blob e Fuori orario, lo è anche questo romanzo. Lodiamo la coraggiosa opera targata La Nave di Teseo anche QUI, su Buongiorno Weekend!