Il colibrì – Sandro Veronesi : recensione

Certi incipit riescono a rapire il lettore fin dalle prime lettere, tenendolo in ostaggio fino all’ultima pagina. Provate a leggere il primo capitolo di Il colibrì di Sandro Veronesi mentre vi trovate allo scaffale della vostra libreria di fiducia; arrivati alla cassa potreste già trovarvi una ventina di pagine più in là (coda permettendo).

Marco Carrera è un personaggio completo, di cui si sonda l’intera esistenza fino agli ultimi battiti, le cui sfaccettature si scoprono man mano da lettere, e-mail, telefonate, sms, racconti in prima persona. Ogni capitolo aggiunge un tassello del passato, del presente o del futuro, facendo ricalibrare di volta in volta il giudizio sugli attori della storia. I cambiamenti sono tanti, fatta esclusione per il protagonista: nonostante i molteplici eventi che si susseguono, fa di tutto per rimanere nella sua bolla staticamente. Fisica e zoologia ci vengono incontro per un chiarimento sulla fissità appena descritta.

“[…] tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te. Certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro.”

Marco è colibrì per due volte, perché era il nomignolo dato dalla madre per lo sviluppo tardivo (risolto abbondantemente con cure sperimentali), ma diventa anche una ridefinizione da parte della donna che ha sempre amato senza averla, Luisa Lattes. È lei a profetizzare qualcosa che diverrà chiaro solo sul finale, tirando in ballo la visione azteca del vivere: diventano colibrì, dopo la morte, i guerrieri uccisi in battaglia e le vittime immolate in sacrificio.

Sia chiaro: la vita del colibrì non è assolutamente facile. Se il volatile in questione, poi, è Marco Carrera, il tutto risulta ancor più pesante da sopportare. La sua esistenza è costellata di lutti, mancanze e sfortune, per equilibrare il karma da un paio di buone stelle passate lì per caso: uno scampato incidente aereo e una prodigiosa nipotina quasi messianica, il cui nome nipponico, tradotto, sta a significare “L’uomo del futuro”.

Il romanzo attraversa i temi fondamentali dell’esistenza, amore e morte su tutti, esplorandoli in lungo e in largo e toccando i risvolti della contemporaneità (dalle famiglie spezzate fino all’eutanasia). Il rischio era di sembrare un romanzo “furbo”, partorito per fare incetta di premi, eppure la bravura dello scrittore riesce ad allontanare questi pensieri maligni. Veronesi, del resto, ha uno stile così gustoso e al contempo garbato che gli si perdona qualsiasi ammiccamento.

A tal proposito è interessantissima l’appendice, Debiti, dove si svelano tutti i riferimenti del testo. L’onestà intellettuale prima di tutto. In questo modo, oltre gli omaggi esplicitati, si crea quel tipo di connessione culturale che tanto amo: l’autore che fa scoprire o ritrovare altre facce della letteratura, dai racconti di Fenoglio (nel libro c’è una sorta di cover del racconto Il gorgo) fino a Philip K. Dick, passando per Fellini e Billie Holiday.

Vogliamo esagerare, giacché siamo nella tornata finale? Questo romanzo mi piace molto più di Caos calmo, ha un’architettura da poter sondare col filo a piombo, tant’è precisa, con ricami perfetti e un parco personaggi con ottime chiusure circolari. Gli amici della domenica non potevano che portarlo nella sestina finale dello Strega.

EDIT
Il colibrì di Sandro Veronesi ce l’ha fatta! Entra nella storia dello Strega non solo per la vittoria di quest’anno, ma anche per essere il secondo autore a vincere due volte l’ambitissimo premio (il primo è stato Paolo Volponi). Nel 2006 ha ritirato la bottiglia dorata durante un diluvio, nel 2020 c’è stata la pandemia. Di una cosa si può essere certi: Veronesi è speciale quanto i personaggi dei suoi libri!

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Alfredo

    Ieri sera ho finito di leggere Il Colibrì; dire che mi è piaciuto è riduttivo….Oggi ho letto la tua recensione. Sei riuscito a dare corpo ai miei pensieri e emozioni, come io non sarei riuscito a fare. Ti faccio i miei complimenti, continuerò a leggere le tue recensioni.

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