Il Canzoniere – Umberto Saba

Non so quando uscirà questo pezzo, ma all’atto della scrittura sono in pieno studio per il famoso concorsone scolastico. Nel lungo programma da ripassare, il Ministero ha stilato una lista di autori da conoscere in maniera approfondita. Su 48, alle superiori ne ho saltati 22. O meglio, non è colpa mia né della mia professoressa di italiano, bensì del tempo “che stringe” arrivati verso la fine del quinto anno. Nell’elenco ministeriale è presente un mio nemico fin dalle elementari, Umberto Saba e il suo Canzoniere.

Fine ‘900, agli sgoccioli, una scuola elementare di poco dislocata dal centro della città. La maestra Laura, ignara di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, si appresta a leggere Ritratto della mia bambina. È bene sottolineare che la cura nella lettura sembrava voler rimarcare un andamento cantilenante che in realtà era proprio della docente in questione.

La mia bambina con la palla in mano,

con gli occhi grandi colore del cielo

e dell’estiva vesticciola: «Babbo

– mi disse – voglio uscire oggi con te».

Ovviamente ho lasciato finire il massacro sonoro in atto, fino al tredicesimo e ultimo verso della poesia.

«Come vi è sembrata? Allora, vi è piaciuta?»

«Per nulla, banale all’inizio e melensa sul finale»

Mi sembra superfluo aggiungere che questa è la mia versione di oggi, ma resta il fatto che dopo aver detto che “è brutta, mi fa pure schifo” sono stato cacciato dalla classe. Per colpa di Umberto Saba. Eppure è l’uomo che mi ha fatto scoprire la bellezza dell’essere un lettore snob.

Questo è lo spirito con cui ho preso in prestito dalla biblioteca il Canzoniere, che racchiude tutte le liriche di Umberto Saba. Mi son buttato a capofitto per terminare il prima possibile lo strazio annunciato dalle oltre 600 pagine del volume. Nessuna delusione e tante conferme nelle prime sezioni, quelle giovanili. Provo dunque a confrontarmi con amici e colleghi, trovando ovunque fan del poeta triestino. Sul finale di una serata alcolica mi viene consigliata soprattutto la sezione “Cinque poesie per il gioco del calcio”. Salto avanti di almeno 200 pagine e scopro questo bel divertissement dove spicca Goal: è una descrizione a più inquadrature di una rete, dove si leggono i punti di vista della squadra vincente, della perdente e del povero portiere che non ce l’ha fatta.

Recupero in fretta e furia le pagine abbandonate e mi butto nel crescendo. Capisco che è necessario leggere il tomo come un’autobiografia in forma di poesia, esattamente come voleva l’autore. Lui stesso ha definito il suo modo di intendere i versi “poesia onesta”, senza lo sfiancante inseguimento all’originalità a tutti i costi: la linea da seguire è quella della sincerità. La definizione migliore è data certamente da Matteo Marchesini: «Saba, con grande scandalo del Novecento, non teme l’ovvio».

In questo romanzo il protagonista cresce, anche stilisticamente, nonostante le revisioni che hanno limato le differenze “d’età poetica”. La trama è secondaria, contano le singole pagine diaristiche. Saba si mostra sempre di più, si avvicina fino a confidarsi, prendendo sempre più spazio, e tornare sul finale a segnare un’intera scena o sensazione in poche righe.

Il poeta, prendendosi il suo tempo, ci educa alla sua conoscenza.

Ed ora, addomesticato, non verrei cacciato dalla classe.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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