I sette peccati di Hollywood – Oriana Fallaci : recensione

Nel 1958 Longanesi pubblicò I sette peccati di Hollywood, esordio letterario di Oriana Fallaci, riedito negli ultimi anni da Bur Rizzoli.

Oriana Fallaci è nota per non essere stata una delle voci italiane più politically correct del secondo Novecento. Con La rabbia e l’orgoglio, scritto nei giorni immediatamente successivi all’11 settembre, condannò non solo la cultura islamica ma proprio l’idea di una classe politica che non si sbilancia troppo di fronte a determinate questioni.

C’è da dire che aveva iniziato la carriera da reporter in un periodo in cui non si ipotizzava neppure l’idea che qualcuno potesse storcere il naso leggendo qualcosa di offensivo. Inoltre immagino che la Fallaci – o l’Oriana – abbia dovuto soprassedere lei stessa su molti atteggiamenti nei suoi confronti: negli anni Sessanta le donne che facevano il suo mestiere erano pochissime. Se fosse viva oggi, immagino che starebbe davanti alla sua macchina da scrivere pensando che basta davvero poco per far causa ad un giornale, e che non possiamo perdere tempo a pensare se sia meglio dire ministra o ministro.

La sua penna, si sa, era appuntita come una lama. Il suo sguardo sul reale veniva trasposto sulla carta con molta precisione e uno stile di prosa fluido e spoglio di orpelli. Non ha mai cercato uno stile che ricalcasse quello “maschile” ma non ha mai voluto farlo essere “femminile”.

Sebbene la Fallaci sia nota per libri di carattere più crudo, si pensi a Un uomo (1979) o a Lettera ad un bambino mai nato (1975), e legati a scenari di guerra, sono incappata nel corso degli anni in due dei libri suoi che non ne parlano affatto: Il sesso inutile (1961) in cui parla della condizione della donna nelle varie culture mondiali e I Sette peccati di Hollywood (1958).

Con quest’ultimo libro Oriana Fallaci riporta le stelle di Hollywood sulla terra. Durante i suoi viaggi tra New York e Los Angeles dal il 1955 al 1957 come inviata per i cosiddetti “articoli di costume” per «L’Europeo», l’autrice ebbe modo di guardare da molto vicino lo star system hollywoodiano avendo così modo di sfatare molti miti.

Per il pubblico italiano la cinematografia statunitense rappresentava un immaginario quasi fiabesco, se confrontato con i film nostrani. Basti pensare che quelli sono stati gli anni di Le notti di Cabiria di Federico Fellini o di La banda degli onesti di Camillo Mastrocinque, mentre al di là dell’oceano Marilyn Monroe dava scandalo lasciando che la sua gonna si sollevasse in Quando la moglie è in vacanza.

“The girl”

Non ho nominato Marilyn per caso; infatti la Fallaci esordisce avvertendo il lettore che nel libro non troverà l’intervista che avrebbe voluto farle, lei ci ha provato per molto tempo ma le vere dive sono così: inarrivabili.

A ben vedere l’unico ritratto da vera star è il suo, probabilmente perché mancante. Tutta la lunga lista di attori, registi e produttori da lei incontrati scendono dall’olimpo in cui li abbiamo immaginariamente posizionati e diventano uomini con pregi e difetti (molti difetti, a ben vedere). L’autrice si trova ad Hollywood proprio durante gli ultimi anni del cosiddetto cinema classico americano, quello delle Mayor, quello in cui se eri Gloria Swanson o il ciacchista poco cambiava agli occhi della casa di produzione. Come negli ultimi anni di un impero, anche a Hollywood si viveva tra dissolutezza e continua ricerca di approvazione, in una costante lotta tra vecchio e nuovo. Da un lato troviamo Cecil B. de Mille, che resta ancorato agli antichi fasti del cinema classico, ricco di buoni sentimenti, storie bibliche e privo di temi pruriginosi; dall’altro c’è James Dean, la sua generazione di giovani bruciati.

Hollywood si stava svelando e Oriana Fallaci, nel suo viaggio, aveva alzato un angolino del manto di buonismo che la copriva.

Si dice che, quando è in difficoltà, il re è nudo. Davanti alla giornalista Judy Garland, Yul Brynner, William Holden e molti altri si presentano fragili, complicati, ordinari, buffi, a tratti grotteschi, come chi cerca a tutti i costi di coprire la propria vergogna (ndA: credo che il misteriosissimo Brynner stesse lì lì per svelarle se fosse davvero calvo oppure no).

I veri duri di una volta erano molto riservati

Un aspetto di I sette peccati di Hollywood che mi ha fatto riflettere molto – è uno dei motivi per cui ho deciso di recensirlo – è la sua assoluta attualità (del resto è Oriana Fallaci).

Nelle vicende dei divi di sessant’anni fa non ho potuto fare a meno di vedere quelle degli attori di oggi.

Le riviste scandalistiche fiorivano già allora ed era tanto importante apparirvi quanto mostrarsi integerrimi, pena la perdita di fans e lavoro; se avete pensato a Johnny Depp, a Kevin Spacey e perfino a Brad Pitt non è un caso. La reputazione è sempre stata tutto, anche per le bionde come Jayne Mansfiel, che aveva fatto del suo essere bionda svampita una sorta di brand (chiamala stupida, le influencer potrebbero essere sue figlie spirituali).

Certi sguardi valgono più di mille parole

I sette peccati di Hollywood è un libro per scoprire – o riscoprire – Oriana Fallaci nelle sue pagine meno canoniche ma non per questo meno graffianti come nel suo stile.

Laura Perrotti

Nata quasi trent’anni fa, non ricordo un momento della mia vita in cui non ho avuto un libro sul comodino. Amo tutti quei romanzi che riescono a farmi andare lontano (ma non troppo) con la fantasia… sarà per questo che sono finita a voler occuparmi di cinema? Ho uno strano debole per i classici dell’Ottocento francese e del Novecento italiano ma non sono la tipica snob che tira dritto davanti alle nuove uscite.

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