I miei eroi – Pierluigi Battista : recensione

Ogni lettore ha la sua trinità di scrittori superiori, quelli che esplodono in un amore eterno, le fiamme che sanno scaldarci in qualsiasi occasione. Vogliamo chiamarli eroi? Pierluigi Battista lo fa nel suo nuovo libro edito da La Nave di Teseo dal titolo, appunto, I miei eroi. Un amore testardo e duraturo.

I tre autori del saggio divulgativo sono, in ordine di apparizione nel testo, Albert Camus, George Orwell e Hannah Arendt. Battista descrive loro come anime belle, recuperandone però il senso letterale e originario: al contrario, queste due parole figurano come epiteto negativo.

Una delle caratteristiche che maggiormente accomunano i tre è lo scontro con la solitudine intellettuale. Gli intransigenti e intolleranti non riuscivano ad accettare i modi e le espressioni di certe menti illuminate. È facile parlare a posteriori, con i cambiamenti fisiologici del sentire comune.

“Non si può vivere in disaccordo con sé stessi. Voglio lottare per la giustizia. Non per la punizione degli uni e la vendetta degli altri.”

La riflessione di Camus è importante non solo per la questione anticolonialista dell’Algeria, ma è ascrivibile a tutte le situazioni che finiscano per includere la violenza. Ammetto che sento viva la consapevolezza della difficoltà nell’allontanare la parte emotiva, che incendia gli animi in parecchie discussioni – e sempre più spesso –, eppure Camus dà prova di una superiorità intellettuale quasi senza eguali. Orwell criticava lo stalinismo ben prima che Kruscev portasse alla destalinizzazione; Arendt parlava del comunismo sovietico come totalitarismo quando era ancora un tabù per tutti.

La triade era schierata contro le cieche ideologie, e da queste subivano attacchi. Persino un grande autore come Italo Calvino finì per discutere con Geno Pampaloni, difensore della pubblicazione di 1984; pubblicare quello che ai suoi occhi era un anticomunista, per Calvino era quasi un affronto alla “realtà”. La fede politica aveva offuscato il lungo sguardo calviniano, che certamente non lesse (con attenzione) Nel ventre della balena. Tra i saggi di Orwell compare una frase sottovalutata ma di enorme importanza, e I miei eroi porta in risalto la citazione:

“La colpa di tutte le persone di sinistra dal 1933 in avanti è di aver voluto essere antifasciste senza essere antitotalitarie.”

Difendere la libertà e la verità, sempre, Il costo finale fu l’antipatia dei colleghi, gli stessi che poi lo riscopriranno negli anni a venire. La verità è un altro filo conduttore tra i tre personaggi, e Hannah Arendt lottò con tenacia impugnando la propria penna. Mai chinare la testa, mai adagiarsi sulle opinioni e le azioni della maggioranza quando non rispecchiano il proprio sentire. Restò indipendente per tutta la vita, anche se comportò una solitudine dolorosa – destino spesso comune ai grandi riformisti e intellettuali.

I tre autori, critici accalorati di una realtà in rovina, hanno però alleviato le pene di molte persone che finalmente potevano leggere voci vicine al proprio pensiero, quello di minoranze che poi sono diventate maggioranze silenziose e infine veri sostenitori dei tre intellettuali. Nel “mondo lugubre del socialismo reale”, per dirla con le parole di Pierluigi Battista, era possibile leggere clandestinamente le Origini del totalitarismo della Arendt, l’Uomo in rivolta camusiano o 1984, libro che tuttora risulta sconvolgente a chi si avvicina al testo più noto di Orwell.

Le storie di I miei eroi creano una chiave d’interpretazione del Novecento, un punto di vista chiaro e pulito, esaminato a tutto tondo: teoria, pratica e contraddizioni. Scopriamo e riscopriamo i semi di altri racconti, altri “irregolari”, come Walter Benjamin, Mary McCarthy, Ennio Flaiano, Nicola Chiaromonte.

Si è sempre nell’età giusta per cercare nuovi eroi, e Battista sfodera un tris invidiabile. A noi non resta che approfondire, leggere quelle pagine così proiettate verso il futuro che vien quasi da sperare.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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