Gnosi delle fanfole – Fosco Maraini : recensione

Aspettavo di leggere Gnosi delle fanfole da anni, da quando ho visto Gigi Proietti recitare Il lonfo in tv. Volevo capire se avevo capito quella particolare poesia per la bravura dell’autore o per l’interpretazione. Ora so per certo che quello era semplicemente un connubio perfetto, perché Proietti è fantastico ma Maraini è superlativo.

In realtà, goduto quel momento, ho cercato il volume senza risultati. Per questo motivo è poi finito in un cassetto della memoria sperando in tempi migliori. Son tornato però in quella gran confusione di informazioni mentali adespote grazie a Le lingue impossibili di Andrea Moro. Qui vengono citate anche le pseudo-frasi di Fosco Maraini, che seguono la costruzione sintattica pedissequamente ma mancano di semantica. I linguisti hanno una memoria formidabile e un’enorme capacità di collegare lo scibile umano, da Chomsky a Zerocalcare passando per Fosco Maraini. In tutto questo sarebbero capaci anche di toccare marginalmente qualche cortometraggio di Ciprì e Maresco, sapendo anche come giustificare questi salti logici.

Purtroppo non sono preparato come un linguista, eppure Gnosi delle fanfole mi ha conquistato. Il gioco metasemantico è pazzesco, quasi non riuscivo a capacitarmi della forza evocativa di questi versi senza senso. In effetti il fatto che sia impossibile tracciare un’etimologia della parola non implica automaticamente la mancanza di senso.

La sua personale costruzione delle parole si è così dispiegata assemblando liberamente frammenti e sonorità in vista dell’effetto desiderato. A questo proposito va ricordato che per la scienza dei segni e dei suoni nulla è comunque mai senza senso. Così come una freccia comunica qualcosa di diverso d’un cerchio, e patatrac da trallallà, è chiaro al lettore che nel Giorno ad urlapicchio “i giorni smègi” non sono uguali ai “giorni timparlini”.

Il paragrafo viene dall’introduzione della figlia Toni Maraini, che di certo avrà giocato con le parole tantissimo. Un po’la invidio, ma sono sicuro di non essere il solo. Da questo preambolo al testo, scopriamo anche che le fanfole andrebbero retrodatate rispetto al lasso di tempo che credevano i critici; non il 1966 come anno d’inizio, ma forse addirittura risalgono al periodo in cui si trovava in Giappone (durante la seconda guerra mondiale).

Escluse le finezze sulla filologia d’autore, la raccolta è fruibile per ogni tipo di persona. Del resto, le poesie offrono suoni che diventano immagini diverse a seconda dell’individuo, dove gli appigli del fruitore sono solo gli scontri tra gruppi consonantici e vocali. Mai visto un gioco così intelligente!

Fosco Maraini, nella Premessa, dice che appunto la poesia metasemantica “va piuttosto recitata o letta ad alta voce”, se non addirittura cantata. Gnosi delle fanfole, per fortuna, vanta anche una versione musicale ad opera di Altomare e Bollani. Trovate QUI un ottimo esempio.

L’autore chiude la premessa dicendo che “Adesso mi resta solo da sperare di non aver scritto in una lingua privata e segreta, come dire per me solo; ciò che proprio mi dispiacerebbe”. È anche meglio: è poesia privata e segreta per tutti in modo diverso.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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