Ho avuto modo di incontrare Giorgio Ghiotti al premio Flaiano, dov’era finalista con Gli occhi vuoti dei santi. Tra gli autori under 30 ho tifato per lui fino alla fine, sia perché ho un debole per i racconti, sia per la forza narrativa del volume. Alla fine ha vinto Claudia Petrucci, ma è ormai chiaro che al Flaiano ci “azzecco” a anni alterni.
Ghiotti mi ha stupito ancora una volta, rimanendo sempre sorridente (ed era esilarante il confronto con Walter Siti, al suo fianco, irrimediabilmente imbronciato). Ecco, penso che il suo sorriso buono e curioso sia un ottimo modo per identificarlo.
Dai suoi racconti non l’avrei mai detto. C’è una crudeltà che aleggia tra le dodici storie del volume, di quelle difficilmente classificabili. È come le vite dei santi, dove troviamo di tutto: dalla violenza alla pietà, dalla cattiveria alla dolcezza.
Sacra Famiglia in fiamme è un ottimo esempio per spiegarmi. Il protagonista è un ragazzino a cui crollano parecchie certezze dopo aver scoperto la madre a letto con un altro uomo. In appena una dozzina di pagine si seguono in prima persona i processi mentali in un crescendo totale, visto il finale (che non spoilero, dato che è il mio preferito e voglio che lo leggiate). Qui troviamo la purezza dei pensieri, la voglia di sentirsi (o mostrarsi) migliori, ma anche il peso della cultura cattolica, lo sgretolarsi delle immagini genitoriali create da bambini, perfette, il cambiamento dei parametri di normalità.
Il tema della famiglia non solo è trattato, ma viene sezionato nelle singole individualità. In Noi due accade questo e il suo contrario. Una coppia si trova ad affrontare la routine senza slanci, finché si aggiunge una nuova variabile umana (e giovane, bella, piena di forze) nell’equazione dell’amore stanco. È sorprendente la bellezza della gaussiana che ne consegue: dopo il picco, la variabile deve ritornare sulla linea iniziale per ripristinare l’equilibrio. Non pensavo fosse possibile parlare di una storia del genere con una tale delicatezza, senza elementi pruriginosi. A guardar bene sembra inedito anche il parallelismo matematico, ma pecca indubbiamente di mancanza di poesia. Un motivo in più per mandarvi sul libro a leggere questi racconti.
Un’ultima menzione va fatta a Santi giorni, che ha un incipit da applausi:
Fummo cacciati come eresiarchi.
Ricordo bene quando accadde. Il parroco ci riunì nella cripta al seminterrato, ci ordinò di sedere in circolo. Disobbedimmo sparpagliandoci sulla moquette color ocra, sulle panche di legno. Qualcuno preferì restare in piedi con la schiena poggiata al muro ruvido. Potevamo dare le spalle al Signore; noi non credevamo alla presenza di Dio in una candela rossa. Se esisteva doveva essere ovunque, ci dicevamo, in una chiesa di un quartiere borghese di Roma come nei bagni di un autogrill con la luce al neon e quell’odore insopportabile di urina dei pavimenti. Se esisteva. E noi non volevamo dubitare.
E mi fermo solo perché ne so poco di Siae. Ho smesso di sottolineare questo racconto dopo tre pagine, perché mi ero reso conto che altrimenti l’avrei sottolineato per intero. Ghiotti riesce a dare alle frasi un ritmo sempre coinvolgente, mai banale. Entrambe le volte che l’ho letto, l’ho divorato in giornata.
Volete puntare su un giovane scrittore? Fiondatevi su Gli occhi vuoti dei santi di Giorgio Ghiotti e non rimarrete delusi!