Gli equinozi – Cyril Pedrosa : recensione

Come fa Cyril Pedrosa a scrivere qualcosa che troverò bello ogni volta? Gli equinozi, ve lo accennavo già parlando de L’età dell’oro vol.1, è una storia che desideravo leggere da molto tempo, prima ancora di conoscere davvero il lavoro del suo autore.

Vi avviso, è un libro lungo, e non è semplice: se qualcuno, durante una discussione, dovesse ancora dirvi che un graphic novel ha meno valore di un libro, voi dategli questo, in testa, per prima cosa. Scherzo, ma non troppo, in ogni caso meglio di no, con due chili di libro, se ci mettete troppa foga, i risultati potrebbero prendere una piega sgradevole.

Sicuramente potrete consigliare Gli equinozi per fargli cambiare idea!

Cyril Pedrosa ha una grandissima capacità comunicativa nell’uso del colore; io, da fotografo amatoriale, amo il colore, amo la sua capacità di cambiare grazie alla luce, qualsiasi tipo di luce, in un determinato momento e ci sembra di guardare alle cose per la prima volta.

E se non possiamo parlare di luci qui, dove meglio potremmo parlarne se non in un libro che si chiama Gli equinozi?

Il libro si divide in quattro parti, ognuna porta il nome di una stagione, si comincia dall’autunno e si procede in ordine, quindi inverno, primavera, estate.

Con il passare delle stagioni anche la palette dei colori cambia, cambiano le intensità.

Un primo indizio pare venire proprio dalla copertina, dove una sapiente scelta di colori ci fa pensare ad una scena divisa in varie “stagioni”.

Sempre la copertina, dove una fiumana di persone indistinte ed indaffarate sembra seguire il proprio percorso, come fantasmi, accennati, sovrapposti, quasi trasparenti, mi porta a fare un ulteriore riflessione, su quanto sia entusiasmante, una volta terminato il libro, scoprire di riuscire a riconoscere in quella fiumana senza nome i volti ai quali durante la lettura abbiamo imparato a dare un nome.

Sono diventate persone che conosciamo.

Gli equinozi è un libro complesso, che indaga la solitudine e lo spaesamento della vita e dell’animo umano, in varie fasi, in vari momenti, in vari modi, e nell’impossibilità dell’essere umano di riuscire a comunicarla all’altro, come dire, siamo tutti sulla stessa barca (aridaje co’ sta barca) ma affondiamo sempre da soli, seppur insieme.

La struttura narrativa stessa ci suggerisce l’idea della ciclicità delle azioni e dello scorrere del tempo, non solo per l’evidente divisione in stagioni, ma anche perché all’inizio di ogni capitolo, presentando la stagione, ci sono alcune pagine dedicate ad un bambino, un cucciolo d’uomo, data la sua superficiale somiglianza con Mowgli (non temete, verso il finale tutto vi apparirà chiaro, il cerchio si chiude, anzi procede, come in una spirale).

Ad esempio, in autunno, questo cucciolo d’uomo, riemerge stremato dalle acque di un fiume, è forse scampato all’annegamento?

In inverno caccia, mangia un po’ di corteccia e non riesce a seguire le orme di un animale sulla superficie ghiacciata di un lago, troppo sottile per non cedere sotto il suo peso.

In primavera il bambino fa una scoperta.

La voce narrante de Gli equinozi è Camille, la fotografa, ignara della sua funzione; è il motore da cui parte la storia, eppure il suo nome sarà uno degli ultimi che scopriremo; non temo di farvi spoiler, l’intreccio è cosi ben sviluppato che resterà comunque un piacere leggerlo.

Camille è una fotografa, una fotografa amatoriale, una fotografa che non fa stampare i suoi rullini. Una fotografa che aveva smesso dopo l’università, per dedicarsi alle cose vere, alle cose importanti, produttive. Ma quando tutta la vita perde di senso è proprio nei dettagli che potremmo ritrovarlo.

Attraverso la sua lente, che diventa pupilla, Camille ci permette di vedere l’altro, di entrarci in contatto superando l’estraneità, le paure, o al contrario, proprio sotto la maschera della cortesia, della circostanza.

All’interno del libro Camille scatta undici ritratti ad undici persone diverse, che impareremo via via a conoscere e che diventeranno sempre meno estranee, sia per noi, sia, in alcuni casi, le une per le altre.

Il primo scatto è Pauline, quindici anni e le paure della sua età, la frustrazione di sentirsi incapaci di unirsi agli altri, la voglia di poterlo fare.

Ogni personaggio che incontriamo ci porta a poco a poco a conoscere il suo mondo, come quello di Pauline, con i suoi genitori divorziati, suo padre Vincent incattivito dalla vita, disilluso, senza qualcosa a cui aggrapparsi a parte la sua rabbia.

La storia si svolge in Francia, in Bretagna, con il paesaggio che muta ad ogni scena, tra le città e i panorami di campagna. Ed è qui che vive Louis, politico, attivista, comunista, in pensione, dopo una vita passata a lottare, e si ritrova a chiedersi perché? Per chi? A cosa è servito, quando tiri le somme della tua esistenza e il bilancio ti sembra segnato dalle perdite.

Il terzo ritratto è di Cécile, una signora anziana sull’autobus, che scopriremo poi essere collegata a Louis; i suoi rimpianti sono legati al passato, a mio parere tra i più dolci da leggere. Legati ad passato meraviglioso, all’amore, a quando tutto sembrava vivido e possibile, non destinato a sparire nella memoria e soprattutto al rammarico di non poterci mostrare alle persone per quello che vorremmo che di noi sapessero oltre all’apparenza.

Come sempre, nei libri di Pedrosa, i personaggi sono numerosi, e sarebbe inutile stare ad elencarveli tutti, anche perché all’interno de Gli equinozi si snoda un filo sottile che porta a collegarli tutti o quasi, all’interno di un grande disegno apparentemente guidato dal caso, tutto si muove verso un fine unico e specifico.

C’è chi costruisce l’aeroporto di Morteuil, chi si batte perché non venga costruito, chi deve accettarlo per restare al governo, chi protesta perché l’interruzione del progetto porterà alla perdita del lavoro, e c’è Camille, sempre pronta a fotografare.

Gli equinozi è un percorso tra dubbi e fiducia, tra gli alti e soprattutto i bassi della vita, tra lo sconforto, le paure, la solitudine delle persone, quella visibile e quella invisibile, tra chi la cerca e a chi viene imposta. Tra chi cerca di sparire e chi di essere visto, chi crede di aver terminato la sua vita ed è pronto a morire, chi si affaccia all’amore, chi lo ritrova senza cercarlo, senza sperarlo, restando sempre cosciente della fugacità dell’attimo, ma non per questo meno disposto a viverlo.

La vita è un atto di fede, per chi ce l’ha, per chi l’ha persa, per chi la ritrova. Un equilibrio tra luce ed ombra, un equinozio, durante il quale buio e luce si ritrovano ad avere la stessa durata, eppure dura solo un giorno, com’è facile perdere l’equilibrio.

Eppure nella sua ciclicità la vita insegna che l’equilibrio può sempre ritornare, a volte per puro caso.

Una storia di vita, attraverso la sensibilità e l’occhio di Pedrosa, un racconto di solitudini dove possiamo ritrovarci, per sentirci, pensa un po’, meno soli.

Oriana D'Apote

Oriana D'Apote classe ’93 un pendolo che oscilla tra la Puglia e l’Abruzzo. La mia prima natura è quella di ascoltatrice di storie, con l'animo inquieto sempre alla ricerca di qualcosa, il dettaglio, la poesia. Sogno di acquistare centinaia di fiabe illustrate, leggo storie crude. Vivo come il protagonista di un noir a colori dove alla fine prenderò il cattivo, risolverò il caso.

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