Frankenstein – Mary Shelley : recensione

Frankenstein di Mary Shelley è uno dei grandi classici della letteratura gotica romantica, uno dei capolavori narrativi che vanta più di un centinaio di trasposizioni negli ultimi due secoli. È una storia bellissima, sempre fresca, anche se il romanzo risente in qualche punto del passare degli anni. Per carità, non ai livelli del Castello di Otranto; questo libro entra in un’altra scala di invecchiamento, e invecchiare alla Frankenstein o Il moderno Prometeo (questo il titolo completo dell’opera) è forse il modo migliore. Mi spiego:

è scritta da Mary Shelley innovando certi modi di narrare, ad esempio si discosta dal gotico perché le descrizioni sono realistiche, e nella prima edizione c’erano anche più spiegazioni scientifiche. Per certi versi potremmo considerarla anche la prima scrittrice di fantascienza. La scrittura però segue diverse linee di narrazione tipiche del periodo: il romanzo epistolare inizia a fiorire circa cinquant’anni prima (I dolori del giovane Werther sono del 1774, Frankenstein del 1818), e sono crescenti gli autori che usano la nuova forma. A fine ‘800 anche quel capolavoro di Dracula entrerà nel genere.

Mary Shelley oggi scriverebbe usando il pretesto di messaggi Whatsapp o Telegram, ed è per questo che la storia rimarrà sempre nell’immaginario comune: è perfetta per adattarla a qualsiasi tempo, sia per costruzione che per temi e personaggi.

Ma vediamo insieme la trama, che probabilmente vi trovate su questa pagina perché non avete tempo per leggerlo e l’interrogazione è alle porte.

All’inizio troviamo le lettere di un giovane Capitano di una baleniera, Robert Walton, che racconta alla sorella di aver conosciuto un uomo durante un viaggio in mare. È certamente un uomo colto e ben educato che ha vissuto degli eventi che l’hanno cambiato. Già il giorno precedente, la ciurma aveva avvistato un mostro che solcava i mari a cavallo di una slitta trainata da cani, e l’evento è correlato al salvataggio della persona di cui parla l’ultima lettera/preambolo.

Inizia poi il racconto biografico del dottor Frankenstein, dalla nascita a Napoli in poi. Vive in Svizzera coi genitori, la sua vita familiare è serena e ricca, e non ci sono elementi che potrebbero far pensare a un genio del male. In effetti non lo è, anche se spesso riconduciamo questo personaggio al tipico esempio di scienziato pazzo.

Ciò che invece mi interessava scoprire erano i segreti del cielo e della terra; e che si trattasse della superficie esteriore delle cose o dello spirito insito nella natura e nel misterioso animo umano, le mie indagini si rivolgevano comunque alla metafisica, o, nella loro accezione più nobile, ai segreti fisici del mondo.

A tredici anni scopre Cornelio Agrippa, poi Paracelso, Alberto Magno. Alchimia e scienza magica diventano gli argomenti più amati da Victor. Punta subito alla ricerca della pietra filosofale e all’elisir di lunga vita, con predilezione per il secondo. Il suo obiettivo è arrivare al livello del/di un Creatore, eguagliare il divino. L’idea di creare un individuo eterno e sempre sano nasce dopo la morte della madre, Questo è il primo dolore del futuro dottore, il primo addio definitivo.

Dedica quindi il suo tempo agli studi in Germania seguendo soprattutto il suo professore Waldman, animo affine per le idee relative alla scienza metafisica. Proprio grazie a questo bagaglio culturale arriva a traguardi insperati.

L’obitorio e il macello fornivano la maggior parte dei miei materiali, e più d’una volta la mia essenza umana si scostò con disgusto dal mio lavoro, mentre, spinto da un’avidità sempre crescente, io portavo la mia opera quasi a compimento.

Nasce la creatura. È mostruosa, è tutta un ragguaglio e un rappezzo, anche se aveva capelli neri e fluenti e denti bianco perla. Orrenda e gigantesca, con occhi spenti, ha però una forza sovrumana. Il mostro fugge nella notte portando con sé il diario del dottor Frankenstein.

Tornato in Svizzera, spinto anche da una lettera amorevole della cugina Elizabeth (che fa il punto della situazione sugli accadimenti durante l’assenza di Victor), il formidabile scienziato viene accolto da una lettera del padre. Così Victor scopre che suo fratello William è morto. È stata la creatura, il dottore ne è certo, ma la colpa ricade sulla vecchia governante. Spoiler: verrà condannata.

Durante un viaggio sulle Alpi per cercare nuova tempra, Frankenstein incontra nuovamente il suo manufatto vivente. Qui c’è il monologo del mostro, che ha trovato William grazie al diario del suo creatore. Questo è il momento dello spiegone, per chiudere certi buchi nati nelle prime cento pagine.

Rende esplicito il sottotitolo dell’opera, perché la creatura sa di essere una sorta di Adamo, o addirittura un angelo caduto. Victor Frankenstein si è posto al pari degli dei, così come Prometeo. Piccola parentesi di mitologia: Prometeo è un titano che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, in modo da rendere migliore la loro esistenza sulla Terra. Il magnanimo Zeus decise allora di lasciarlo sul monte più alto della Scizia (quella degli sciiti), nudo, con una colonna conficcata nel corpo. Il fallico costrutto marmoreo non è la parte peggiore, perché la pena include un’aquila che gli rode il fegato (che ricresce ogni notte!). A Victor andrà decisamente meglio, non essendo immortale.

Nel monologo scopriamo che il “cattivo”, in realtà, non lo è; infatti ha imparato il francese ascoltando una famiglia di contadini di nascosto e, nei periodi più duri, li aiutava di nascosto spalando la neve o portando legna e ortaggi. Al suo palesarsi, però, è stato scacciato malamente per la sua forma disgustosa. Ovunque va, riceve solo espressioni di orrore, come accadde col moto di paura del protagonista subito dopo la creazione. In paese gli lanciarono anche pietre e oggetti vari, come al peggiore dei reietti.

Il mostro fa una sola richiesta: vuole una donna che sia come lui per poter scappare lontani dagli uomini e amarsi. Chiede un nuovo prodigio all’uomo pentito del suo primo miracolo alchemico. Victor acconsente solo perché l’essere deforme minaccia di perseguitarlo rendendogli la vita impossibile. Spoiler: non lo farà, giacché le due creature potrebbero allearsi o peggio ancora odiarsi e combattere tra la gente comune. Altro spoiler: il mostro perseguiterà Frankenstein e i suoi cari.

La portentosa belva uccide prima il migliore amico del dottore, Clerval (la colpa ricadrà sullo scienziato, che passerà dei mesi in carcere), poi l’amata cugina Elizabeth (già, dimenticavo che c’è anche una storia d’amore) la notte delle nozze. Per vendicare i suoi cari, Frankenstein insegue la sua creatura ovunque, fino addirittura al Polo nord. Qui incontra la nave baleniera del Capitano Walton, e torniamo al principio del romanzo. Tra atroci sofferenze, non sopravvivrà. Il mostro farà un ultimo ritorno per salutare il cadavere del suo creatore.

Il monologo finale, l’ultimo capitolo, che leggiamo grazie a una lettera del Capitano, è straziante. È la confessione di una persona sola, diversa, esclusa. La sua ingenuità si scontra con la cattiveria di chi non è in grado di comprendere altro da sé. Ed è proprio in virtù di questo che rimarrà sempre attuale: ogni società contiene anche individui che lottano solo per un po’d’affetto, per ricevere una minima dose di positività. Nel Frankenstein di Mary Shelley c’è ovviamente un eccesso, ma in fondo tutti noi ci siamo sentiti vicini alla creatura nelle sue parole.

Pensateci: amiamo a tal punto quel cadavere rianimato che non ce la siamo sentita di lasciarlo senza nome. Frankenstein, come suo padre; la tradizione ha finalmente creato quel legame cercato per tutto il romanzo, una famiglia di appartenenza.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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