Franco spirito – Marco Ferreri : recensione

Non ho capito Franco spirito di Marco Ferreri. O meglio, ho capito il romanzo ed è per questo che sono arrabbiato e preferisco dire di non averlo capito.

Il testo alterna lettere e parti narrative, e la scrittura è tanto banalmente arzigogolata nella porzione epistolare, come quando da ragazzini si giocava a fare i mestieri e capitava “il poeta”, quanto è invece forte e significativa quando smette la piuma d’oca delle missive.

Già la dimostrazione di bravura, in opposizione alle scarse prove in forma d’epistola all’esordio di ogni capitolo, smuove la rabbia.

Proseguendo nel libro, la figura di King diventa sempre più un ricordo. Peccato, è l’unico personaggio tridimensionale, ed è solo un alter ego del protagonista. Dopo le prime venti pagine, purtroppo, non ci sarà più nessun altro così ben scritto.

Dismessi i panni di King, rimane Luca Giovine. Tutti hanno avuto nel corso della propria vita quell’amico o conoscente che… no, queste cose non le scrivo, lascio che siano le lettere a presentare il tipo.

“Arrivo al dunque. La mia arroganza è ancora lì e gioca un ruolo nel mio essere, ma ora lo so riconoscere e sento il bisogno di ripercorrere i danni che ha fatto alla mia vita in passato, per tracciare un futuro diverso.

[…]

Innanzitutto ci tengo a precisare una cosa. Non voglio ammorbarti e non l’ho mai voluto. A volte ho ritenuto necessario aprire parentesi cervellotiche e il motivo lo sai. Ti ho preso a cuore. Ho preso a cuore la tua anima, la tua fantastica singolarità e il tuo acume fuori dal comune. Per questo mi interesso a te e alla tua felicità. Che tu lo accetti o meno, che tu mi creda o meno, continuerò a dare tutto me stesso affinché tu la raggiunga. È una promessa, che parte dall’evolvere me stesso per riuscire a starti vicino senza spaventarti o ferirti.”

Esatto, parliamo di quegli immaturi emotivi che sono ancora in quella fase a cavallo tra pre-adolescenza e adolescenza. Va a finire che vi fanno anche sentire in colpa. Solo col tempo potrete dire che si trattava solo di ciò che si definisce, con una terminologia altamente tecnica, uno “scassacazzi”. Qualora non aveste presente la tipologia umana, probabilmente siete voi.

A pagina 113 ho sentito un cambio di densità localizzato. Il peso delle braccia, dovevo aspettarmelo. Il protagonista è convinto di crescere emotivamente, e nella sua (invece) regressione si definisce addirittura “come un vettore vaccinale contro la pesantezza dell’esistenza”. Sì, sono fatti proprio così.

Negli ultimi due capitoli, autore e personaggio – libro e personaggio – si incontrano. Quasi interessante, se fatto bene. E invece c’è quella dichiarazione di scherno autoriferita, tipica delle persone come Luca Giovine:

“A me questa storia puzza tantissimo di voler fare il figo imitando Pirandello. Oppure, scenario ancor più inquietante, di ostinarsi a giustificare una dissociazione da caso clinico.”

Il finale prosegue in questa direzione, con il protagonista che irride l’opera in cui partecipa e l’opera che svela il personaggio nella sua pochezza (i miei commenti precedenti non erano campati in aria, Franco Spirito è d’accordo con me).

Questi meccanismi erano però sperimentali nel secolo scorso, ormai sono solamente triti e ritriti.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

Questo articolo ha 8 commenti.

  1. Marco Ferreri

    Buongiorno, sono l’autore di “Franco Spirito”. Come anticipato su Instagram, scrivo questo commento per entrare un po’ più nel merito delle critiche mosse al mio romanzo d’esordio.

    In primo luogo, concordo con le osservazioni riportate, che coincidono in buona parte con i rilievi che io stesso posso muovere al libro e ai suoi personaggi rileggendolo oggi. Dunque sono felice di trovare una corrispondenza a pensieri che mi hanno attraversato la mente.

    Ci tengo tuttavia a sottolineare una cosa: gli elementi che il recensore ha trovato sgradevoli erano appositamente inseriti per essere tali. Luca Giovine è nato come “scassacazzi”, era sia il suo ruolo nell’economia della storia sia la funzione della sua maschera nel processo di crescita del protagonista.

    Mi trovo invece leggermente perplesso nel vedere King definito come un personaggio tridimensionale, in quanto il mantra che costituisce la sua caratterizzazione è semplicemente: “Devo reprimere le mie emozioni così diventerò più forte a scapito degli altri”. Ovvero la definizione per antonomasia di ciò che muove un narcisista manipolatore.

    Che è poi l’istanza che combatte Luca scassando (e scassandosi) il cazzo con tutti i suoi dubbi, tarli mentali ed espressioni mancate di affetto. Mi fa piacere che venga definito come bloccato tra l’adolescenza e l’età adulta, in quanto il suo scivolare verso Franco Spirito rappresenta proprio questo passaggio. Che è irreversibilmente critico e finanche illusorio, specialmente se non è stato fatto a suo tempo (ovvero quando il protagonista indossava la maschera di King). Dunque, sostanzialmente, le critiche mosse a Luca Giovine nel corso della recensione sono la prova che è un personaggio ben costruito, in grado di rappresentare appieno quel che si poneva di rappresentare.

    Se questa caratterizzazione suscita qualcosa di positivo o meno è un altro discorso, tra l’altro molto soggettivo. Infatti, vedo nella recensione forti prese di posizione, che dunque rivelano un gusto ben definito (sia tecnico sia psicologico) e una certa carenza di analisi e di visione d’insieme, che mi spinge a pensare che sia stato capito solo in parte quello che era il disegno di fondo. Infatti, a dirla tutta fatico a definire tale la recensione, in quanto mi sembra più un insieme di annotazioni fatte di getto, sull’onda emotiva e senza una visione d’insieme.

    Il punto è che l’arzigogolamento delle lettere richiama una chiara ispirazione a Goethe e al romanzo epistolare di stampo romantico, ed è costruito così, in una forma a oggi desueta, proprio per ricalcare quella ispirazione. I flussi di pensieri e le situazioni oniriche le ho presentate apposta in uno stile diretto e contemporaneo proprio per sottolineare anche in senso stilistico come tutta la narrazione giochi sui contrasti e sulle antitesi (così come lo fanno le personalità opposte di King e Luca), in piena rappresentazione dell’Io secondo il modello freudiano.

    In ultimo, palese è anche l’ispirazione a Pirandello, a cui l’ultimo capitolo è un omaggio tanto quanto le lettere e Luca lo sono al giovane Werther. Un personaggio del genere, all’occhio del contemporaneo risulta solo uno “scassacazzi”? Nessuno lo nega. Il dialogo finale non ha nulla di sperimentale? Nessuno nega nemmeno questo, ma dopotutto una citazione/tributo è la cosa meno sperimentale di questo mondo, ed è la stessa frase di scherno di Luca a rivelare la natura di quella scena (e non quella del libro). Ho fatto del manierismo riportando dei modelli letterari passati proprio per sottolineare il contrasto con quella che è la “mia” prosa, ovvero quella definita “manifestazione di bravura” (E anche un po’ per mostrare la mia capacità di padroneggiare anche stili lontani tra loro, sarebbe stupido negarlo). Il punto è che la manifestazione di bravura non è la capacità di proporre solo il proprio stile preferito, ma di padroneggiarne e proporne diversi a seconda delle esigenze della storia e del suo messaggio di fondo.

    A scrivere tutto il romanzo senza lettere, senza dialoghi da finta rottura della quarta parete e in modo breve e diretto sarei stato più piacevole? Probabilmente sì, ma anche molto più piatto nella gamma di emozioni suscitate e molto meno “bravo” tecnicamente.

    Venendo alla questione dell’originalità, a mio parere e a quello di chi ne ha trovata, questa sta negli accostamenti più che nei singoli elementi. Inoltre, nel fatto che le tematiche su cui si muove l’autoanalisi non sono certamente proprie di inizio Novecento né di metà Settecento, ma sono attualizzate a un adolescente/giovane adulto dei nostri giorni.

    Insomma, il punto è che nella foga di prendere le parti di uno dei due estremi e di dichiarare la propria preferenza (King e la prosa diretta), si è persa di vista la visione d’insieme, e ciò si palesa dal fatto che Franco Spirito è stato identificato con l’autore. Anche lui è “nel box” della finzione letteraria, per quanto se ne chiami fuori. E lui non è assolutamente me, ma lo scrittore che avrebbe voluto diventare King.

    Concludendo, io non intendo questionare il gusto o la preferenza per uno stile o per l’altro, semplicemente mettere nero su bianco che talune scelte narrative e stilistiche sono state volute e inserite con un preciso significato, in modo che parlasse anche il testo con la sua struttura e i suoi cambi repentini di stile narrativo. Con il rischio e talvolta l’obiettivo di risultare anche sgradevole, ho concepito “Franco Spirito” come una sfida al lettore, nel modo in cui Nietzsche intendeva la letteratura: lanciare messaggi significativi, mettere in crisi le certezze filosofiche del lettore e suscitare forti reazioni emotive, in grado di smuovere l’animo del lettore e dunque mettere in moto le sue sinapsi. Tale obiettivo è più importante della piacevolezza della storia se si sceglie di perseguirlo.

    Dunque, leggendo il tenore di queste annotazioni, e un tale schieramento verso una delle parti in causa, mi rendo conto di esserci riuscito in pieno.

    1. Aniello Di Maio

      Rispondo sui vari punti:
      1) Un narcisista manipolatore dev’essere per forza tridimensionale, proprio per manipolare al meglio le sue “prede”.
      2) La recensione deve comprendere sempre due parti: una oggettiva e una soggettiva. Non a caso ho parlato anche della tua bravura nello scrivere, e quello è incontrovertibile. Vero è che fin da scuola molti insegnanti chiedono il contrario, semplici relazioni spacciate per recensioni. Per questo motivo anche sui giornali (non su tutti, chiaro) le pagine culturali si stanno assottigliando o comunque stanno perdendo valore. Fortuna che esiste gente come Massimiliano Parente. Esempio: in una quinta ho fatto leggere una recensione teatrale di Ennio Flaiano e i ragazzi mi hanno chiesto: “ma si possono scrivere pure queste cose?”. Ah, magari ci fosse ancora gente così… Non voglio paragonarmi, ovviamente, ma purtroppo si è persa una tradizione straordinaria.
      Senza la parte personale, soggettiva, avremmo solo uffici stampa.
      3) Il romanzo epistolare non è desueto, è solo sfruttato in percentuale minore rispetto al passato ma è comunque ben presente anche nel mondo contemporaneo. Una cosa è l’ispirazione, un’altra è ricalcare senza destrutturare, aggiornare o qualsiasi altro lavoro che potrebbe tirar fuori le lettere dall’esercizio di stile. Anche Tabucchi aveva Goethe come lume ispiratore, ma i testi di Si sta facendo sempre più tardi sono più che contemporanei (e non stiamo parlando della mera lingua aggiornata). Il problema è proprio sul fatto che saper imitare e saper padroneggiare sono due cose diverse – la differenza tra Marino e i marinisti.
      4) Il punto della critica non è la “piacevolezza”, anche perché la maggior parte della letteratura che mi colpisce è proprio quella che rifugge dalla faciloneria gratuita di molti testi.

      1. Marco Ferreri

        1) Su questo punto discordo, i pattern di comportamento di un narcisista manipolatore sono ben delineati, reiterati e dunque prevedibili. Chiaramente, bisogna prima conoscerli in senso clinico, altrimenti non appaiono come tali.
        2) Non ho mai contestato la parte soggettiva di quanto espresso, né affermato che non dovrebbe esistere. In virtù di ciò, non capisco il senso di questa puntualizzazione, pur essendo felice di apprendere che c’è ancora chi porta avanti la critica culturale con sostanza.
        3) Sul lato tecnico, specialmente per quanto riguarda la questione epistolare, mi trovo sostanzialmente d’accordo. Ho scelto di portare avanti uno stile e delle suggestioni non abituali e, per questo, sicuramente i difetti ci sono. Essendo anche il primissimo romanzo, non posso pretendere il contrario. Detto questo, nessuno è obbligato a sperimentare in ogni riga che scrive, esistono opere intere basate sul citazionismo, così come le attualizzazioni, i remake e i reboot, un po’ in ogni forma di comunicazione.
        4) Allora continuo a non cogliere il punto della critica. Né alla struttura globale del testo, né al personaggio di Luca Giovine, o più che altro non colgo dove stanno le contraddizioni e/o le insufficienze di caratterizzazione. Dalla recensione emerge chiaramente che ti va indigesto in quanto “scassacazzi”, ma non c’è alcun contraltare oggettivo che affermi che sia scritto male. Stesso discorso vale per la trama.

        Un conto è inserire la propria opinione all’interno di un’analisi, un’altra spacciarla per l’analisi stessa.

  2. Marco Ferreri

    1) Su questo punto discordo, i pattern di comportamento di un narcisista manipolatore sono ben delineati, reiterati e dunque prevedibili. Chiaramente, bisogna prima conoscerli in senso clinico, altrimenti non appaiono come tali.
    2) Non ho mai contestato la parte soggettiva di quanto espresso, né affermato che non dovrebbe esistere. In virtù di ciò, non capisco il senso di questa puntualizzazione, pur essendo felice di apprendere che c’è ancora chi porta avanti la critica culturale con sostanza.
    3) Sul lato tecnico, specialmente per quanto riguarda la questione epistolare, mi trovo sostanzialmente d’accordo. Ho scelto di portare avanti uno stile e delle suggestioni non abituali e, per questo, sicuramente i difetti ci sono. Essendo anche il primissimo romanzo, non posso pretendere il contrario. Detto questo, nessuno è obbligato a sperimentare in ogni riga che scrive, esistono opere intere basate sul citazionismo, così come le attualizzazioni, i remake e i reboot, un po’ in ogni forma di comunicazione.
    4) Allora continuo a non cogliere il punto della critica. Né alla struttura globale del testo, né al personaggio di Luca Giovine, o più che altro non colgo dove stanno le contraddizioni e/o le insufficienze di caratterizzazione. Dalla recensione emerge chiaramente che ti va indigesto in quanto “scassacazzi”, ma non c’è alcun contraltare oggettivo che affermi che sia scritto male. Stesso discorso vale per la trama.

    Un conto è inserire la propria opinione all’interno di un’analisi, un’altra spacciarla per l’analisi stessa.

    1. Aniello Di Maio

      Un pattern, in quanto tale, è ben delineato. sono tutti prevedibili, a conoscerli. Ad ogni modo nel punto quattro del commento lamenti una non oggettività mentre al punto due dici di non contestare la parte soggettiva. Continui a sottolineare lo “scassacazzi”, ma se semplicemente ti è indigesta quella parola è sempre possibile cambiarla. Resta il fatto che lì c’è la mia personale antipatia per il personaggio, mentre nel resto della recensione rimane la parte oggettiva e quindi più storicistica. Sul discorso attualizzazioni, remake e reboot possiamo parlarne per ore. Riducendo la questione in uno spazio consono a un sito, c’è modo e modo. Django di Tarantino è una cosa, Amityville Dollhouse ne è un’altra. Ovviamente con tutta la scala di grigi tra i due esempi.

      1. Marco Ferreri

        Sul discorso pattern, più o meno, perché anche il mondo della psicologia clinica è diviso tra la preponderanza delle linee guida diagnostiche e quella della personalità dell’individuo che si risolve in comportamenti patologici per sue dinamiche interne (e molto probabilmente la verità sta nel mezzo). Ora, personalmente ho costruito il personaggio King avendo in testa soltanto una linea comportamentale generica e incarnabile da qualunque ragazzino con la testa montata e qualche scompenso affettivo, dunque tutta questa tridimensionalità/personalità/originalità non ce l’ho mai vista né ce l’ho mai voluta mettere di mio pugno. Se è arrivata comunque, ben venga.

        Non mi da minimamente fastidio il termine “scassacazzi”, è un modo molto diretto di definire un tipo umano. Sto affermando che è “scassacazzi” (tra le altre sfaccettature) perché era pensato per esserlo, tutto qui. E in base a questo modo di fare è normale che attiri più antipatie di un personaggio artefatto come può essere King o di un deus ex machina come Franco Spirito.
        Continuo a non capire in base a cosa sia scritto male, proprio perché la tua analisi sul personaggio è costruita su: “fa talmente schifo che si commenta da sé”. Peccato che ciò riveli solo antipatia personale.

        A dire il vero, io mi sono semplicemente accodato alla tua considerazione secondo cui un lavoro valutativo è anche soggettivo. Lo accetto, e ci sta. Il punto è che la parte oggettiva non c’è, a parte due considerazioni “Il dialogo interiore nel 2020 non si può riproporre” e “La scrittura arzigogolata delle lettere fa sempre schifo, perché siamo nel 2020 e dobbiamo buttare tutto giù in massimo 140 caratteri”. Buttate lì senza un minimo di analisi, di riferimenti interni o esterni al libro, senza contestualizzazione. Due sentenze anche banalotte e un 90% di recensione costruita su “quanto è scassacazzi questo personaggio?”. Sinceramente, di oggettività ne vedo poca, ma vedo anche molta pochezza nell’approccio critico, che dovrebbe appunto costituire la parte oggettiva. E ciò mi va bene, perché significa che se il tutto si risolve in un “rant”, la struttura del libro e dei personaggi è solida. Altrimenti mi avresti fatto notare le loro incongruenze o contraddizioni, magari mettendole a confronto con una delle mille opere che continui a nominare per dare un tono alle tue deboli considerazioni.

        In ogni caso, siamo a un intervento a testa che non aggiunge nulla di nuovo, ma continua soltanto a puntualizzare concetti espressi in precedenza. Segno che la discussione non ha più sbocchi. Spero che, quando sarà, potremo aprire a considerazioni di altro tipo sul prossimo libro, che forse contiene altri scassacazzi, ma di sicuro nessun romanzo epistolare.

  3. Aniello Di Maio

    Le opere nominate possono sembrare argomentazioni deboli qualora non le si conoscesse. Il secondo virgolettato che hai scritto, peraltro, l’hai inventato tu xD Sono curioso a questo punto di esempi di recensione che avresti voluto, ti ho parlato dei miei riferimenti ma su questo non ho avuto alcun riscontro. Non ho alcuna antipatia personale verso di te, per questo l’ultimo commento proprio non lo capisco. Immagino comunque, visto che continui a puntare sulla “struttura solida” di libro e personaggi, che tu volessi una critica di stampo strutturalista.

  4. Marco Ferreri

    Relegare integralmente la propria argomentazione alla citazione di un’opera è un espediente valido soltanto nel momento in cui entrambe le parti in causa sono a conoscenza dell’opera in questione, altrimenti si crea soltanto incomunicabilità. Non è un crimine non aver letto ogni libro su questa terra, visto che la cultura è una terra sconfinata (io stesso sono certo di poter mettere in fila decine di opere narrative che non conosci per spiegare gli stessi concetti), mentre è relativamente facile estrarre i punti salienti dell’opera in questione e spiegarli con parole proprie.

    Sostanzialmente, non è una questione di aspettativa o di stampo, ma del fatto che la critica non l’ho proprio capita, ovvero non ho capito cosa non andasse da un’analisi che continua a calcare sul fatto che qualcosa non va senza specificare cosa. Vuoi per carenza di dettagli tecnici, vuoi per uno stile comunicativo che punta praticamente tutto sullo scherno e parla per allusioni a me oscure. Insomma, un puro e semplice “mi ha fatto cacare” avrebbe avuto la stessa valenza di tutto il resto dell’articolo, oltre a suonare più onesto e meno pretenzioso.

    In ogni caso, nei nostri scambi precedenti è entrato in gioco anche un mio limite, contro cui mi sono scontrato nel momento in cui mi sono ritrovato a mia volta a dover recensire negativamente un romanzo (per alcuni aspetti simile a Franco Spirito, moltiplicato per dieci nei passaggi da latte alle ginocchia), e a dovermi sorbire vagonate di astio gratuito da parte dell’autrice per aver sottolineato problematiche grosse come una casa.

    Da quell’esperienza “a specchio” ho capito delle cose sia di approccio alla lettura sia di revisione della propria opera, che nella risposta che avevo originariamente generato in questa discussione, non avevo minimamente presenti, e infatti meno male che è andata perduta.

    Alla fine le problematiche in Franco Spirito, oggettive o soggettive che siano, esistono e sono io il primo a riconoscerle. Tocca soltanto lavorarci su per le prossime opere. Grazie per il feedback e sarò felice di sottoporre al blog anche i romanzi che pubblicherò nei prossimi mesi.

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