Vi piace andare al cinema? Prediligete film da 1 h 30-45’ o siete amanti delle serie tv? Ormai Netflix e Prime video vi permettono di avere la perfetta serata sul divano davanti alla tv belli sbragati, senza mascherina, che ormai sta diventando parte di noi.
Una cosa che apprezzavo particolarmente nelle serate autunnali durante la settimana erano le proiezioni a ruota, anche per due ore di fila, di cortometraggi. Nella tentacolare Pescara organizzavano un festival di corti interessante e ben curato, fino a qualche anno fa: poi una débacle.
Se anche voi siete amanti delle piccole perle autoriali, Fotogrammi di un film horror perduto di Helen McClory è il libro che fa per voi. Vincitore del Saltire Prize come miglior esordio nel 2015, viene pubblicato in Italia da ilSaggiatore solo pochi mesi fa.
Il volume comprende una raccolta di circa 40 racconti nel quale la McClory ti porta in un lungo corridoio buio col medesimo numero di porte. Ognuna catapulta in realtà quotidiane portate ai limiti più grotteschi. Ti conduce in sequenze già iniziate che se non ti piacciono “bam!” e cambi porta, come nei sogni lucidi dove puoi cambiare canale e sintonizzarti su altre frequenze se l’andazzo del sogno non ti convince. Altrimenti puoi ritrovarti nella stanza di proiezione e rimanere ad osservare dall’esterno insieme al proiezionista.
L’autrice riesce ad essere incisiva con la narrazione breve trovando sempre l’equilibrio giusto tra inizio, centro e fine. Non senti la mancanza di un finale portato a termine troppo in fretta o una chiusa non adatta a pennello. I suoi testi hanno il giusto respiro. Sono immortali e ripetibili. L’autrice sa giocarsi molto bene le situazioni e riesce a scandagliare le più assurde possibilità di ciò che può risultare meno macabro o anche horror; una carrellata (rimanendo nelle metafore cinematografiche) può aiutarci meglio:
C’è ad esempio una fumatrice che non riesce a rinunciare all’ultima sigaretta; si risveglia da zombie per l’ultima accoppiata caffè e nicotina, o vampiri che hanno paura del sangue. Una delle situazioni horror che mi ha particolarmente divertita è il classico picnic nella tipica periferia dove ci sono tutte le case col prato a raso – non un centimetro più, non un centimetro meno –, capelli antiproiettile con 3 kg di lacca e il cestino della merenda dove ti offrono prosciutto d’alta qualità e poco stagionato: si aggiunge un braccio tagliato a fette spesse per assaporare meglio quel retrogusto tipico dei sapori mediterranei.
O il classico pranzo di famiglia con parenti e/o persone improbabili che non ami frequentare, con arrosto misto di carne bianca, sui 40 anni al massimo, che poi la carne diventa stoppacciosa. Non spaventa il lauto pasto, ma l’idea della compagnia e le maledette chiacchiere di circostanza. Non so voi, ma a me non piacciono molto le rimpatriate di famiglia.
Ma ci sono anche zombie, mostri, diavoli, sirene frustrate e insoddisfatte perché non proveranno mai un orgasmo – niente Verdone che ti chiede se sei più clitoridea o vaginale – e ciclopi chiromanti che hanno la passione dell’occulto. Per me sono sicuramente più paurose le tempeste ormonali rosa shocking che escono dalle orbite come fulmini in un giorno di tempesta, in cui non vorrebbe mai imbattersi un povero genitore o un adolescente arrapato (non so se è più grottesco o trash, eppure mi sembra terrificante anche più di Stephen King).
Fotogrammi di un film horror perduto della McClory è la perfetta raccolta per mettere alla prova limiti, tabù e drammi con una giusta dose di risate. Un po’ di black humor non guasta mai.