Secoli e secoli di letteratura hanno trattato il tema dell’amore in tutte le possibili accezioni, partendo da Dante con la Vita Nova fino ai contemporanei come i romanzi di Sally Rooney, ma in Fame blu di Viola Di Grado questo sentimento è fisico, morboso, nocivo fino a raggiungere gli angoli più bui e profondi dell’anima. L’amore fa sanguinare, non sono solo farfalle nello stomaco.
In tutti i romanzi della Nave di Teseo che ho letto, come ad esempio Quanto blu, non ho potuto far a meno di notare come venga approfondita la psiche di un personaggio senza lasciare niente di confuso o aleatorio nel lettore. Potreste dire che questa è una cosa che dovrebbe risultare scontata, cioè la buona resa di un romanzo, ma non penso sia così; non voglio far partire alcuna shitstorm e credo che il panorama letterario contemporaneo sia colmo di tanti romanzi molto simili e che non lasceranno chissà quale grande ricordo tra nemmeno dieci anni. Ne parlavo tempo fa con un mio amico scrittore, ma preferisco non dilungarmi su questo. Riaffronterò l’argomento in maniera più approfondita prima o poi, ma in altra sede.
Fame blu di Viola Di Grado è la storia di una ragazza romana che ha perso da poco il gemello e decide di trasferirsi a Shanghai, città dove il suo gemino desiderava aprire un ristorante.
In tutto il romanzo la protagonista non dirà mai il suo nome e deciderà di assumere quello di suo fratello Ruben, come se volesse in qualche modo assumere la sua identità, non avendone più una propria. Ogni persona si sente persa, spezzata quando perde l’anima che riteneva a sé più affine.
Non si tratta però solo di un nome, come direbbe Giulietta, ma è anche nodo che fa intendere della sua mancanza di elaborazione del lutto e del suo rapporto di dipendenza passiva nei confronti di un fratello più ambizioso di lei.
In una città che non può che entrarti in testa, come viene detto anche dall’autrice, la fame blu della gemella trova realizzazione nell’amore che nasce con la giovanissima Xu, una ragazza conosciuta a scuola dove la protagonista insegna italiano.
Tra le due donne sboccia un rapporto pieno di possessione, rabbia, situazioni irrisolte e una fame così vorace che porta a divorare, mordere e far scorrere sangue.
«L’amore non dovrebbe procurare cicatrici insensibili, più lucide e dure dalla pelle. Al massimo ferite blande, veloci a ripararsi. Come quelle che ti fai da piccola cadendo dall’altalena»
Ogni capitolo del romanzo è identificato con una parte del corpo, dalla bocca, ossa, carne, nuca dando ancora di più la sensazione di un corteggiamento che sfocia subito in rapporto sessuale e nel suo acme; è seguita da una fase di discendenza, dove la giovane Ruben instaura una dipendenza morbosa nei confronti di Xu. La possiede in mattatoi abbandonati obbligandola a rapporti sempre più di sottomissione e lasciandola poi in sospeso per settimane; è nelle sue mani, tenendola in pugno e manipolandola a suo piacimento.
Nel corso del romanzo Fame blu l’attrice principale cambia, si abitua man mano ad essere divorata dalla sua nuova ossessione, metabolizzando allo stesso tempo la scomparsa di un gemello che non può più tornare.
Viola Di Grado ha una scrittura scorrevolissima che ti permette di visualizzare ogni via di Shanghai, odore, sapore e sensazione. Non lascia niente all’interpretazione del lettore. Non ti senti perso tra i vicoli grigi e le luci blu neon dei locali notturni. Avrei preferito, semplicemente, un finale diverso, ma perché non sono riuscita a simpatizzare molto per le protagoniste; al contempo ero affamata nel sapere il finale, di cui non parlerò perché ho già detto abbastanza e non voglio rovinare il gusto della lettura.
Fame blu di Viola Di Grado è stato anche candidato al premio Under 35 dei Premi Internazionali Flaiano, ma sono sicura che non mancheranno altri riconoscimenti e candidature.