Fairy Tales – Oscar Wilde e P. Craig Russell

Col tempo, si sa, ognuno si crea il proprio gusto e finisce per ricercarlo spasmodicamente. A volte può andar bene, a volte male, e ci sono casi in cui addirittura si soccombe.

Sopraffatto dai libri che finiscono male, la tetra copertina delle Fairy Tales della NPE mi sembrava il libro ideale per proseguire una perdizione letteraria. Sono poco avvezzo all’inglese, quindi ho cercato il significato di “fairy” = può stare per fata, fatato; già mi sentivo proiettato in favole dal sapore antico, quelle violente de ‘na vorta. Il web mi suggerisce una seconda ipotesi di significato = in slang sta a identificare persone che amano altre persone, ma dello stesso sesso (che volgarità, il vocabolario di wordreference.com li identifica come ‘frocio, culattone’, che non inserirei mai in una recensione). WOW! Tenendo conto che le fairy tales sono scritte da Oscar Wilde, potrei trovare entrambe le cose, con ottima scrittura e metafore ardite! In più il bellissimo volume è disegnato da P. Craig Russell, di cui chiunque dovrebbe conoscere le tavole delle collaborazioni con Neil Gaiman.

Il problema iniziale, come dicevo, ero io. Questo ha reso la lettura ancora più affascinante. Della decina di racconti scritti da Wilde, Russell ne sceglie quattro. Sono tutte a lieto fine, con insegnamento morale. Esattamente ciò che più odio. Ma due autori così grandi mi hanno fatto capire che le cose belle rimangono tali, se fatte in un certo modo. Non c’è mai la sensazione di “pippone” a cui mamma Rai ci ha abituati, ed ho anzi iniziato a capire che molti scrittori contemporanei guardano troppa televisione.

Questo libro sarebbe un regalo perfetto per coloro che vogliono fare della scrittura un lavoro: un ottimo livello verso cui tendere, o l’occasione per capire che conviene lasciar perdere. Io ho avuto la stessa reazione, ad esempio, a 17 anni. Se amate suonare la chitarra, fate di tutto per non imbattervi nei video di ragazzini asiatici. Fanno lo stesso, ma con tecnica migliore e dieci anni in meno.

I racconti selezionati sono L’usignolo e la rosa (che avevo letto alle superiori), Il giovane re, Il gigante egoista e Il figlio delle stelle. E sono uno più magnetico dell’altro. La prima storia è di una dolcezza assoluta, utile a rendere più malleabile l’animo e predisporlo al resto del cartonato. Il gigante egoista, poi, è per me un capitolo a parte della vita. Me l’aveva raccontata mio nonno, ed ero convinto fosse sua. Ho avuto la stessa strana sensazione di quando alle medie ho scoperto che Chichibio e la gru era di Boccaccio e non una lunga barzelletta di un uomo che aggiustava lavatrici.

La storia di chiusura – Il figlio delle stelle – è spirituale e magica, e non ne leggevo da anni. Ho chiuso Fairy tales di Oscar Wilde e P. Craig Russell come ristorato, con l’anima gonfia. Mentre vado a digerire l’ondata di sentimenti, vi invito a lasciare un commento e visitare il catalogo della Nicola Pesce Editore ricchissimo di chicche.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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