Eugenio Onegin – Aleksandr Puškin

Amando la letteratura russa, sentivo da qualche tempo la mancanza dell’Eugenio Onegin. Tutto parte da lì, ma sapere che era un romanzo in versi mi ha sempre spaventato. È impegnativo, sia da lettore che da traduttore. L’occasione è arrivata per mano de La Torre dei Venti, con un’edizione tradotta da Mario Ferrari. Grazie a Umana Commedia ho potuto conoscere il gusto del verso da parte del traduttore nelle vesti di autore. Convinto, al primo colpo.

Il peso storico dell’opera è importante: è l’inizio dell’arte letteraria russa. Prima c’erano tanti imitatori di romanzi sentimentali francesi. Puškin decide di scrivere “nella lingua dei servi della gleba”, come commenta Paolo Nori. La impara dalla sua bambinaia, Arina Rodionovna. La voce della vera gente entra nella letteratura russa.

“Delle opere di Puškin, che oggi vengono considerate «un’enciclopedia della vita russa», un critico ottocentesco ha scritto che sono «scenette insignificanti da vite insignificanti».

Molti contemporanei di Puškin si sono stupiti quando, nell’Evgenij Onegin, Puškin ha messo in versi le scene da un matrimonio di provincia.

«Perché ci racconta queste cose?», si chiedevano, «le sappiamo benissimo».

Ecco quelle cose, quelle cose di Puškin che i suoi contemporanei conoscevano benissimo e che per noi sono così preziose, soprattutto per la leggerezza e l’incanto con cui sono raccontate, sono il byt, la vita quotidiana.”

Descrivendo la realtà, ne fonda una cultura in cui il popolo può riconoscersi. È una letteratura giovane, ma con un inizio così sfolgorante ha ispirato le generazioni a venire di autori e scrittori. Le storie della letteratura, a quanto pare, sono destinate a iniziare con romanzi in versi.

Tradurre poesie è di per sé complicato, figuriamoci quando i versi sono collegati in un’opera coesa. Il sistema metrico cambia per forza di cose, inficiando però anche nel sistema musicale e negli schemi delle rime. Il gioco del “dire quasi la stessa cosa”, diventa quasi impossibile, perché bisognerà pur sacrificare qualcosa per esaltare determinate caratteristiche. Mario Ferrari, nella sua versione, cerca di ricreare in italiano la famosa musicalità di Puškin. Non conosco il russo né la prosodia della lingua, ma leggendo ad alta voce possiamo riconoscere un ritmo ben diverso da altre traduzioni.

“Di bellezze ormai non si innamorava,

Ne corteggiava svagato;

Rifiutavano: da subito si consolava;

Tradivano: era lieto e rilassato.

Le cercava ma senza incanto,

Le abbandonava ma senza rimpianto,

Ricordando di loro solo amore e maldicenza.”

Il testo è ricco di sfumature del protagonista, che tra le pieghe si tratteggia sempre meglio. Ma di cosa parla l’Onegin?

Eugenio Onegin è giovane ma prova una noia esistenziale che solo chi vive di rendite potrebbe capire. In campagna conosce il poeta Lenskij, con cui stringe una bella amicizia. È fidanzato con Olga, la cui sorella Tatiana sente il colpo di fulmine per Onegin. Eugenio la rifiuta, dopo aver ricevuto una lettera di una bellezza unica. L’ingrato Onegin, tempo dopo, ci prova con Olga tanto per sfogare la sua atavica noia. Il problema è che lei ci sta, il ché obbliga moralmente Lenskij a sfidare al duello l’avversario, pena l’onore. Bella mira, Onegin. Il finale non lo svelo, aggiungo però che il volume della Torre dei Venti reca in coda i Frammenti del viaggio di Onegin, penultimo capitolo poi cassato dall’autore stesso.

Un secondo motivo per cui ho tardato la lettura del poema è stato il film. L’ho visto qualche anno fa e, escluso il finale, pecca nella scarsa espressione di poesia. Un esempio su tutti:

“ Amo la spudorata giovinezza,

E la ressa, e lo splendore, e la lietezza,

E le meditate mise delle dame;

Ne amo i piedini; di stame

Ma non vedrete mai alla Russia unita

Tre paia, in fieri femminili piedi.

Da tempo non ho scordato… credi!

Due piedini… tristi, congelati,

E sempre in sogno, non li so scordare

Mi fremono nel cuore. “

E ancora:

“Piedino nelle mani che abbisogni;

Tatto e ancora ribolle la mente,

Al tocco di un piedino fremente

Riaccende di sangue secco il cuore,

E ancora dolore, e ancora amore!… “

La mia è una selezione dei dolci versi feticisti, una dichiarazione amorosa che copre diverse stanze; dalla traduzione di Mario Ferrari, passiamo a Martha Fiennes, vediamo come ha condensato la poesia di Puskin:

Onegin Puskin piedi

Classe, eleganza e poesia: queste le caratteristiche del testo. Nel film arrivano solo da metà opera; peccato, perché Ralph Fiennes merita sempre. In compenso potremo godere tutti del volume, che mancava di adattamenti da fin troppo tempo.

Aniello Di Maio

Aniello di Maio è nato l’ultima volta a Castellammare di Stabia (NA), ma si definisce pescarese per evitare lo spirito di competizione. Allevato da un diplomatico presso l’ambasciata spagnola, ha acquistato un veloce eloquio, così veloce che è meglio leggerlo che ascoltarlo. Ha amato così tanto studiare Lettere moderne che ha trascorso almeno il doppio degli anni fuori corso, un po’per l’ansia dilagante, un po’perché non riesce ad essere serio a lungo. Neanche in quattro righe di biografia.

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