Dracula – Bram Stoker

Una domanda che mi pongo spesso è: che cosa pretendo io dai libri considerati dei classici della letteratura?

Perché mi capita di restare sempre un po’ delusa da queste letture, desiderate, consigliate o elogiate che siano.

Leggere Dracula di Bram Stoker è sempre stato un mio desiderio. Ma per sua sfortuna era finito sul comodino dove finiscono quei libri che si crede ci sia sempre il tempo di rimandare.

Poi a gennaio di quest’anno Netflix ha rilasciato la miniserie Dracula, e della prima puntata ero entusiasta!

Ai miei occhi quella prima puntata aveva riportato i vampiri ai vampiri, allo stato originale, alle leggende, al loro legame con il demonio. Basta con questi buoni sentimenti di vampiri con i complessi che vivono in villette arredate in stile lounge!

Poi anche il Dracula della serie in questione ha arredato casa in stile moderno ma io alla prima puntata, questo, non lo sapevo.

Le cose che ho amato in quella prima puntata sono le stesse che ho poi amato nel libro, l’inizio.

Dracula di Bram Stoker ha per me un inizio bellissimo, terrificante, grazie all’ambientazione e al filtro della paura fornito da Jonathan Harker, la prima voce narrante che incontriamo.

Tra i motivi per i quali non mi piace c’è il genere, quelle epistole alle volte lunghissime che contengono anche minimi inutili dettagli, fortemente inglesi, tipo il numero delle soste fatte per un tè mentre ci si scapicolla per Londra da un cimitero ad un altro e che tanto mi sembrano un tentativo di raggiungere le quattrocento pagine della mia edizione (continua la mia netta preferenza per la contessa di Karnstein, che con le sue cento pagine resta un prezioso solitario del genere vampiresco).

Certamente quelle più noiose sono per me quelle tra Lucy Westenra e Mina Murray (futura signora Harker), poiché dubito che le donne dell’epoca vittoriana stessero tutto il giorno a scriversi di quanto erano belli e buoni gli uomini mentre loro conservano ancora il retaggio di quella perfida Eva che morse la mela tentata dal serpente.

Il romanzo racchiude dei rallentamenti che scoraggiano il lettore meno appassionato al genere. E accelerazioni che deludono le attese del lettore più attento. Parlo degli incontri con Dracula, centellinati e rapidi, se escludiamo la sua presenza all’inizio della narrazione con il diario di Jonathan Harker e tanto ci basti. Per il resto Stoker mette in atto lo stesso gioco di superstizione, leggende e paura scelto da Le Fanu, è una spinta al credere al soprannaturale anche se questo ci sfugge. D’altronde è uno degli insegnanti di Van Helsing, l’immaginario medico olandese dalla mente aperta (sarà stato forse allievo del dottor Heselius?) che dice:

“[…] io voglio che voi credete. […] Che credete cose per voi impossibili. Vi spiego. Una volta ho sentito un americano che ha definito così la fede: ‘Quella cosa che ci rende in grado di credere cose che sappiamo non essere vere’.”

Tornando alla sfuggente figura del Conte, devo dire che la rappresentazione visiva data da Netflix mi è sembrata buona sotto più punti.

Uno è sicuramente quello di aver rappresentato Dracula scegliendo di dare risalto più al ad fascino intrinseco che ad una bellezza di tipo fisico. Un fascino unito a modi da affabulatore, da manipolatore. La sensualità non è giocata sul piano fisico e carnale (SPOILER ALERT) tranne poi nel finale.

Una scelta questa che possiamo ritrovare in maniera concorde all’interno del  libro, dove in effetti Dracula predilige vittime femminili ma non disdegna il giovane Harker; è un atto di nutrimento più che di sensualità, seduttività e sessualità.

Anzi, all’interno del libro l’espressione della sessualità è legata molto di più, e in maniera negativa, alle donne. Le vittime del Conte con il sopraggiungere del vampirismo perdono le qualità di donna angelo del focolare, limpida e pura, e acquistano sensualità carnale, sguardi languidi e voci voluttuose.

Una netta contrapposizione tra bene e male, insomma, ma che riguarda soprattutto la donna. Un tipico cliché vittoriano nel quale non pensavo sarebbe caduto anche Bram Stoker col suo Dracula.

Se invece dunque “il sangue è la vita”, come grida Renfield dalla sua stanza in manicomio, ed talmente importante da diventare testimonianza e chiave di comprensione nell’adattamento di Netflix, ecco, forse da questo classico mi sarei aspettata di trovarne di più.

Oriana D'Apote

Oriana D'Apote classe ’93 un pendolo che oscilla tra la Puglia e l’Abruzzo. La mia prima natura è quella di ascoltatrice di storie, con l'animo inquieto sempre alla ricerca di qualcosa, il dettaglio, la poesia. Sogno di acquistare centinaia di fiabe illustrate, leggo storie crude. Vivo come il protagonista di un noir a colori dove alla fine prenderò il cattivo, risolverò il caso.

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